simposio lettori copertina

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mercoledì 31 agosto 2016

RECENSIONE: JOJO MOYES - IO PRIMA DI TE


Sinossi:

A ventisei anni, Louisa Clark sa tante cose. Sa esattamente quanti passi ci sono tra la fermata dell'autobus e casa sua. Sa che le piace fare la cameriera in un locale senza troppe pretese nella piccola località turistica dove è nata e da cui non si è mai mossa. Probabilmente, nel profondo del suo cuore, sa anche di non essere davvero innamorata di Patrick, il ragazzo con cui è fidanzata da quasi sette anni. Quello che invece ignora è che sta per perdere il lavoro e che, per la prima volta, tutte le sue certezze saranno messe in discussione. A trentacinque anni, Will Traynor sa che il terribile incidente di cui è rimasto vittima e che l'ha inchiodato su una sedia a rotelle gli ha tolto la voglia di vivere. Sa che niente può più essere come prima, e sa esattamente come porre fine a questa sofferenza. Quello che invece ignora è che Lou sta per irrompere prepotentemente nella sua vita portando con sé un'esplosione di giovinezza, stravaganza e abiti variopinti. Nessuno dei due, comunque, sa che la propria vita sta per cambiare definitivamente.

 

Cari lettori, oggi vi parlo di uno dei miei libri preferiti… o almeno ci provo! Si tratta di “Io prima di te” di Jojo Moyes di cui domani uscirà in tutte le sale la trasposizione cinematografica. In vista di questo evento tanto atteso, ho deciso di rileggere il libro per parlarvene con maggior cognizione di causa, nonostante pensassi di sapere ciò che mi aspettava… ma avevo fatto i conti senza l’oste: questo libro, che dopo la prima lettura mi era costato numerosi fazzoletti e diversi giorni di astinenza forzata da qualunque tipo di lettura, beh questo libro mi ha sconvolta ancora di più ora che l’ho riletto.

Tutta questa prosopopea è solo per chiedervi scusa se la mia recensione sarà poco accurata e traboccante di emozioni e cose non dette.

Beh, siamo in una piccola città della provincia inglese, dove la maggiore attrazione ed il punto focale è un antico castello. E’ qui che vivono Louisa e Will. Lei ha 26 anni, ha una passione per gli abiti variopinti e le calze a strisce gialle e nere, vive in una famiglia normale ma con qualche problemino economico ed ha appena perso il lavoro. Will, invece, ha 35 anni, è un ex leader della City, un ex sportivo, ex paracadutista, ex affascinante seduttore… ex, sì, perché una mattina di pioggia resta vittima di un incidente che gli cambierà la vita per sempre. Will è tetraplegico di grado C5/6, con capacità di movimento assolutamente minime ed ha bisogno di assistenza 24 ore su 24. Ed è proprio per questo che Lou lo conoscerà, dovrà fargli da assistente e, possibilmente, diventargli amica. Come se fosse facile! Will non vuole una nuova “dama di compagnia”, lui vuole solo essere lasciato in pace, vorrebbe che nessuno decidesse cosa è meglio per lui, pensando di sapere di cosa ha bisogno; vorrebbe solo lasciar passare sei mesi… Sei mesi, il tempo che Will ha promesso ai suoi genitori, esattamente la durata del contratto di Lou. E quando la ragazza scopre cosa c’è oltre quei sei mesi la sua unica missione sarà migliorare la vita di Will, fargli capire che qualcosa di buono c’è, che non tutto è perduto. E mentre si affanna ad organizzare gite all’aperto, degustazioni di vini e concerti si accorge che Will sta cambiando la sua vita, sta facendo di lei, Louisa Clark, una persona diversa, nuova, più consapevole. Ma riuscirà Lou a dissuadere Will dal suo progetto? La risposta è tutt’altro che scontata.

Questo libro è un crescendo di emozioni, sensazioni forti, contrastanti: la durezza della situazione di Lou e della condizione di Will, la tenerezza per i piccoli passi che il loro rapporto compie giorno dopo giorno, la dolcezza e la speranza nelle note di un concerto di violino, l’amore in una sera d’estate e il dolore, dolore puro e viscerale che attanaglia Lou e tutti noi. Raccontando la storia in prima persona, Jojo Moyes ci immerge pian piano nel contesto di Lou e di Will, in un climax ascendente di emozioni che non possono lasciare indifferenti, ma solo alla fine, arrivati all’ultima pagina, si capisce davvero perché questo libro è tanto sconvolgente quanto vero. Leggendo la sinossi e le prime pagine potreste pensare che sia la solita storia melensa di ragazza povera e sventurata e ragazzo bello e dannato, l’avevo pensato anch’io, ma non è così. Questo libro affronta un tema duro e difficile come l’eutanasia in modo diretto ed assolutamente d’impatto.

Pochi mesi fa è uscito anche un sequel, “io dopo di te”, di cui spero di parlarvi quanto prima… anche se, dopo un primo libro così forte, ho qualche perplessità… mai dire mai, comunque. E come vi dicevo all’inizio, domani uscirà il film: il thrailer promette bene… staremo a vedere. Voi, intanto, film o sequel a parte, non perdetevi questo “Io prima di te”… vale davvero la pena… e… preparate tanti fazzoletti!

 

Opera recensita: “Io prima di te” di Jojo Moyes

Editore: Mondadori, 2013

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: Inghilterra

Pagine: 396

Prezzo: 13€

Consigliato: assolutamente sì.

 

lunedì 29 agosto 2016

RECENSIONE: STEPHEN KING - L'OMBRA DELLO SCORPIONE


Sinossi:

L'errore di un computer, l'incoscienza di pochi uomini e si scatena la fine del mondo. Il morbo sfuggito a un segretissimo laboratorio semina morte e terrore. Il novantanove per cento della popolazione della terra non sopravvive all'apocalittica epidemia e per i pochi scampati c'è una guerra ancora tutta da combattere, una lotta eterna e fatale tra chi ha deciso di seguire il Bene e appoggiarsi alle fragili spalle di Mother Abagail, la veggente ultracentenaria, e chi invece ha scelto di calcare le orme di Randall, il Senza Volto, il Male, il Signore delle Tenebre.

 

King è un autore controverso: ho iniziato a leggerlo da poco ed ho scoperto che i suoi libri possono essere anche molto diversi tra loro. Alcuni mi piacciono, come “Cujo” ed altri no, come “Misery”… altri sono destinati ad entrare nella top 10 dei miei libri preferiti, proprio come questo “l’ombra dello scorpione”. Ho appena terminato di leggerlo e, nonostante la mole, lo ricomincerei domani!

Siamo negli Stati Uniti d’America. Una strana super influenza, chiamata Captain Trips, colpisce tutto il Paese (e forse il mondo intero) tra giugno e luglio 1980. Il 99% della popolazione muore, ma vi sono alcuni sopravvissuti che, individualmente o in piccoli gruppi, intraprendono un viaggio che, attraverso deserti, montagne e città semideserte, li conduce in due poli opposti. Alcuni sopravvissuti andranno dapprima in Nevrasca, a casa della ultracentenaria Mother Abbagail e poi con lei si sposteranno a Boolder, in Colorado, per costituire una comunità detta “zona libera”; altri, invece, andranno ad Ovest, a Las Vegas, a servire un’altra forza, quella di colui che ha tanti nomi e tante forme, lui che cammina nella notte e che porta con sé gelo e morte.

Il romanzo si sviluppa in tre libri che potremmo sintetizzare così: il primo parla dell’epidemia, della sua diffusione ed introduce tutti i numerosi personaggi; il secondo libro narra del viaggio, della formazione della comunità e dell’organizzazione in vista dello scontro; il terzo è il libro decisivo, quello in cui tutto prende forma e, insieme, si dissolve. In questo romanzo epico King affronta un tema di cui tanti hanno scritto, l’eterna lotta tra bene e male, tra Dio e diavolo, tra buoni e cattivi. Lo fa in modo per niente scontato o banale, con i suoi tempi ed i suoi ritmi, con la giusta dose di melodramma e di brivido… lo fa a modo suo, insomma! Tanti sono i riferimenti biblici, ma tanti altri sono i richiami sociologici, psicologici e politici. E’ per questo che mi sento di affermare che “l’ombra dello scorpione” non è solo un semplice romanzo, magari un po’ lungo e ricco di personaggi, ma è un vero e proprio trattato sociopolitico! Lo stile è quello a cui King ci ha abituati: descrittivo, minuzioso, qualche volta ridondante e prolisso, ma sempre lucido e mai banale. I personaggi sono molto ben caratterizzati, sono molti ed ognuno ha la sua parte fondamentale in questa partita a scacchi sulla scacchiera dell’America. Credo di poter dire che “l’ombra dello scorpione” è un capolavoro: leggetelo, ve lo consiglio vivamente, magari con in mano una cartina geopolitica degli Stati Uniti: durante tutta la lettura ho sempre avuto una gran voglia di consultare una cartina e congiungere con una matita i viaggi dei singoli sopravvissuti. Chissà se qualcuno ci si è mai divertito! Sarebbe interessante sapere a che conclusione si arriva… perché io sono convinta che ce ne sia una! Gran bel libro, comunque… davvero consigliato!

 

Opera recensita: “l’ombra dello scorpione” di Stephen King

Editore: Bompiani, 1978-1985

Genere: fantasy, horror, post apocalittico

Ambientazione: Stati Uniti d’America

Pagine: 929

Prezzo: 14 €

Consigliato: sì.

 

martedì 23 agosto 2016

RECENSIONE: ROBERT GALBRAITH - IL RICHIAMO DEL CUCULO (LE INDAGINI DI CORMORAN STRIKE, LIBRO I)


Sinossi:

Il primo caso per Cormoran Strike in questo romanzo di esordio di Robert Galbraith, pseudonimo di J.K. Rowling, autrice della serie di Harry Potter e de "Il seggio vacante". Londra. È notte fonda quando Lula Landry, leggendaria e capricciosa top model, precipita dal balcone del suo lussuoso attico a Mayfair sul marciapiede innevato. La polizia archivia il caso come suicidio, ma il fratello della modella non può crederci. Decide di affidarsi a un investigatore privato e un caso del destino lo conduce all'ufficio di Cormoran Strike. Veterano della guerra in Afghanistan, dove ha perso una gamba, Strike riesce a malapena a guadagnarsi da vivere come detective. Per lui, scaricato dalla fidanzata e senza più un tetto, questo nuovo caso significa sopravvivenza, qualche debito in meno, la mente occupata. Ci si butta a capofitto, ma indizio dopo indizio, la verità si svela a caro prezzo in tutta la sua terribile portata e lo trascina sempre più a fondo nel mondo scintillante e spietato della vittima, sempre più vicino al pericolo che l'ha schiacciata. Un page turner tra le cui pagine è facile perdersi, tenuti per mano da personaggi che si stagliano con nettezza. Ed è ancora più facile abbandonarsi al fascino ammaliante di Londra, che dal chiasso di Soho, al lusso di Mayfair, ai gremiti pub dell'East End, si rivela protagonista assoluta, ipnotica e ricca di seduzioni.

 

Il libro di cui vi parlo oggi è “Il richiamo del cuculo”, primo libro della serie “le indagini di Cormoran Strike”, edito da Salani.

Si tratta di un giallo, scritto alla vecchia maniera, ma ambientato ai nostri giorni con google ed il cellulare come valido aiuto nelle indagini. Sin dalla prima pagina si viene catapultati nella storia: già nel prologo troviamo una descrizione sommaria dei fatti. La stampa è radunata in una strada di un lussuoso quartiere di Londra per raccontare la morte della bellissima ed altrettanto famosa top model Lula Landry, precipitata dal balcone del suo appartamento in piena notte. Nel primo capitolo, invece, ci vengono presentati i due protagonisti: Cormoran e Robin. Lui è uno squattrinato trentacinquenne, figlio illegittimo di un cantante famoso e di una super groopie, veterano della guerra in Afganistan in cui ha perso una gamba, ed ha appena rotto definitivamente con la sua storica, ricca fidanzata. Lei, Robin, è una ragazza dello Yorkshire in cerca di lavoro, venuta a Londra per vivere con il fidanzato, un geloso contabile che le ha appena chiesto di sposarla. Per un caso fortuito i due si incontrano proprio il giorno in cui John, fratello adottivo della nota modella Lula, affida a Strike l’incarico di indagare sulla morte della sorella: egli è, infatti, convinto che non si sia trattato di un suicidio, come la polizia ha affermato sin da subito, ma piuttosto di un omicidio. Cormoran si butta a capofitto nell’indagine che gli permette di prendere un po’ di respiro dai debiti che lo assillano e di non pensare alla fidanzata che lo ha mollato. Ben presto, però, l’idea dell’omicidio, che in un primo momento era sembrata a tutti solo una fissazione di un fratello addolorato, comincia a trovare conferme nelle indagini.

Due mondi a confronto, nelle pagine di questo bel poliziesco: quello di Lula, costruito, effimero, lussuoso, seducente e quello della periferia, del degrado sociale, dei senzatetto e delle prostitute. A volte questi mondi si incontrano, si intersecano ed è lì che può avvenire il blackout… non in modo evidente, ma sordido, subdolo, magari nelle forme di un rancore covato per anni e nascosto da un amore fraterno.

Quando ho dovuto decidere se leggere questo libro mi sono trovata di fronte a sensazioni contrastanti: da un lato ero titubante perché avevo letto molte recensioni che lo definivano “un giallo puro” e mi risultava difficile pensare ad un giallo scritto oggi ma con le caratteristiche dei grandi classici dell’800 e dei primi 900. Dall’altro, però, ero curiosa perché, per chi non lo sapesse, dietro lo pseudonimo di Robert Galbraith c’è la grande J. K. Rowling, l’ideatrice di Harry Potter e del suo mondo. Ero curiosa, dicevo, di capire se fosse in grado di scrivere qualcosa di diverso da ciò che (giustamente) l’aveva resa celebre. Beh, direi che la prova è stata superata! Mi è piaciuto molto Cormoran Strike, ma soprattutto ho adorato Robin: bella, intelligentissima eppure umile ed altruista, “Proprio una brava ragazza”! E poi il libro è ben scritto e ben architettato; l’ho trovato molto gradevole, pur senza la suspense e l’azione che tanto mi piace nei thriller di oggi. Bello, consigliato! A presto con le recensioni dei successivi due volumi!

 

 

Opera recensita: “Il richiamo del cuculo” di Robert Galbraith

Editore: Salani, 2013

Genere: romanzo poliziesco

Ambientazione: Londra

Pagine: 464

Prezzo: € 16,90 (rilegato); € 8,99 (ebook)

Consigliato: sì.

 

sabato 20 agosto 2016

RECENSIONE: ANDREA CAMILLERI - IL TUTTOMIO


Sinossi:

Arianna ha appena compiuto trentatré anni, ma il suo temperamento è ancora deliziosamente infantile. Quando Giulio la incontra, in un giorno triste per entrambi, è subito conquistato da questa creatura smarrita, selvatica come una bimba abbandonata eppure bellissima e sensuale. Arianna entra nella sua vita con una naturalezza che lo strega, e dal giorno in cui la sposa Giulio cerca di restituirle la luce che lei gli ha portato offrendole tutto ciò che potrebbe desiderare: anche quello che lui, a causa di un grave incidente, non può più darle... Così della loro routine entrano presto a far parte gli appuntamenti del giovedì, meticolosamente organizzati da Giulio in persona: in un pied-à-terre appartato o in una cabina sulla spiaggia, secondo la stagione, gli uomini destinati a incontrare Arianna sono tenuti a rispettare poche regole inviolabili. Nella vita di questa coppia, dunque, segreti non ce ne sono. Ogni tanto, però, Giulio è attraversato dalla consapevolezza che qualcosa gli sfugge: «Tu non mi hai detto tutto di te» le sussurra mentre non riesce a fare a meno di viziarla. È così. Di segreti Arianna ne ha molti, e brucianti – tanto che forse nemmeno lei ne conserva un ricordo nitido. Ma quello che custodisce più gelosamente è il “tuttomio”: una “tana” tutta sua, ricavata in un angolo del solaio, come la piccola caverna dove si rifugiava da bambina, in campagna. Ed è lì, nel tuttomio, che Arianna si confida con la sua unica vera amica, Stefania. I giochi di Arianna e Giulio sono troppo torbidi e coinvolgenti per non farsi, con il passare del tempo, pericolosi. Tanto più perché lei, come ogni bambina, non ha chiaro il confine che separa il gioco dalla realtà. E può bastare lo sguardo di un ragazzino ingenuo e focoso, a cui è difficile dire di no, perché le regole rischino di essere infrante e un vento sinistro porti scompiglio nella casa di bambola che Giulio ha costruito. Ispirato alla scandalosa vicenda dei marchesi Casati Stampa, ma anche percorso da una fitta trama di rimandi a grandi classici come Santuario di Faulkner e L’amante di Lady Chatterley di Lawrence, questo romanzo mette in scena una protagonista femminile straordinaria: inquietante nel suo candore, splendente di una luce nerissima. Quando abbandona la lingua mescidata dei suoi romanzi siciliani, Camilleri dispiega una scrittura magistralmente essenziale, limpidissima – verrebbe da dire spietata – eppure priva di inibizioni. Un gioco raffinato e colmo di ironia, con il quale trascina i lettori attraverso il labirinto dell’eros, al cuore dell’amore e della perdizione, là dove – come nel mito di Arianna – il Minotauro vive nutrendosi dei desideri più oscuri e inconfessabili. Un romanzo che si legge d’un fiato, terribile e sorprendente.

 

Oggi vi parlo di un romanzo breve, ma molto particolare: “Il tuttomio” del maestro Andrea Camilleri, uscito per Mondadori nel 2013. La trama mi aveva colpito già qualche tempo fa in libreria, così quando ho dovuto scegliere qualcosa di Camilleri che non fosse il mio amato Montalbano, sono andata a colpo sicuro.

I protagonisti di questa storia sono Arianna e Giulio, una coppia benestante con abitudini un po’ particolari: Giulio, diventato impotente a seguito di un incidente d’auto, per soddisfare gli appetiti sessuali della giovane e bellissima moglie Arianna, organizza degli incontri con sconosciuti previamente selezionati e ben retribuiti, con la condizione che non incontreranno la moglie per più di due volte. Ad uno di questi rendez-vous, cui prende sempre parte anche Giulio, Arianna conosce Mario, un diciassettenne inesperto ma molto molto attratto da lei. Tra i due comincia una relazione clandestina e pericolosa che rischia di mandare a monte il fragile equilibrio tra il passato ed il presente di Arianna e che, se scoperta, potrebbe farle perdere Giulio.

Non è facile parlare di questo libro perché, pur essendo breve, racchiude in sé molti spunti: tanto per cominciare, parliamo dei protagonisti. Quelli maschili sono esattamente agli antipodi: Giulio è un gentiluomo, curato, intelligente, attento ai bisogni della compagna e pronto a viziarla ed a soddisfare ogni suo capriccio per il bene del loro rapporto; Mario è spregiudicato, irruento, folle, infantile ed anche un tantino egoista. E poi c’è lei, Arianna, la figura centrale della storia: una donna bambina, una creatura carnale e bellissima, ma che fra i tanti suoi segreti nasconde qualcosa di triviale e selvatico. Questa sua personalità da bambina cattiva viene ineluttabilmente fuori nel “tuttomio”, il suo posto segreto, il labirinto di cui lei sola conosce l’uscita, il luogo dove custodisce, come una sacerdotessa, tutti i simboli del suo essere. Per tracciare i contorni di questa donna Camilleri ricorre ad una narrazione al presente, divisa tra la Arianna di oggi e quella di ieri, con i suoi numerosi amanti ed i suoi tanti segreti, quella che tratta amore e morte quasi come se fossero incidenti di percorso, tappe da superare in un viaggio di vita la cui destinazione è tutt’altro che chiara. La scrittura di Camilleri è qui essenziale, scorrevole, chiara; non c’è traccia della sicilianità che caratterizza i romanzi di Montalbano, ma di tanto in tanto l’autore usa espressioni come “si alza a mezzo”, che mi hanno dato una sensazione di provincialità, utile ad entrare nel contesto sociale di Arianna, giovane donna vissuta con la nonna in un paesino ai margini di un bosco e poi trasferitasi in città.

Tanti sono, poi, i rimandi letterari: dal mito del filo di Arianna a classici come “l’amante di Lady Chatterley”, fino a “Santuario” di Falkner, autore spesso citato nei romanzi di Camilleri. Un romanzo moderno, dunque, ma in chiave classica, in cui si racconta l’eros in un tempo moderno, ma con profonde radici piantate nel passato.

Mi è piaciuto? Sì, anche se devo ancora assorbirne tutta la portata. Ho qualche perplessità soprattutto sul finale: non so se mi sia piaciuto o cosa mi aspettassi in realtà… di sicuro il libro ve lo consiglio: si legge in un giorno, ma dà da pensare per un po’.

 

Opera recensita: “Il tuttomio” di Andrea Camilleri

Editore: Mondadori, 2013

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: non definita

Pagine: 147

Consigliato: sì.

 

giovedì 18 agosto 2016

RECENSIONE: WULF DORN - FOLLIA PROFONDA


Sinossi:

Un mazzo di bellissime rose rosse senza biglietto. Un inquietante disegno sotto il tergicristallo dell’auto… Lo psichiatra Jan Forstner è l’oggetto delle attenzioni insistenti di una sconosciuta. All’inizio pensa si tratti semplicemente dei sentimenti innocui di una paziente. Ma quando un amico giornalista, che stava per fargli delle rivelazioni sconvolgenti che lo riguardavano da vicino, viene trovato barbaramente ucciso, Forstner comincia a temere di essere il bersaglio finale di una pazza omicida. Una stalker che non si ferma davanti a nulla pur di ottenere ciò che vuole. E ciò che vuole è lui, Jan, per sempre... Dal re del thriller psicologico tedesco, una nuova sconvolgente storia di tensione e di follia.

 
Tensione elettrica dalla prima all’ultima pagina in questo thriller psicologico dell’autore tedesco Wulf Dorn. Vi ho già parlato di lui qui sul blog quando ho recensito “la psichiatra”, il suo stupendo  romanzo d’esordio. Beh, devo dire che qui in “follia profonda” ho trovato conferma della bravura di Dorn.
Siamo sempre in Germania, a Fahlenberg, nella Valt Clinic, nota clinica psichiatrica in cui lavora Jan Forstner. Proprio il giovane psichiatra diventa l’oggetto dell’ossessione amorosa di una donna che lo perseguita senza farsi vedere. Questa donna fantasma, che si fa chiamare Jana, ha in mente un piano che coinvolge Jan e, in preda al suo delirio allucinato, non si fermerà davanti a niente e nessuno pur di raggiungerlo. Lo ha già dimostrato uccidendo un uomo, un giornalista che, prima di morire, aveva chiesto un appuntamento a Jan. Da qui si dipanerà una trama ricca di colpi di scena, una storia folle basata sullo stalking, sulla paura e su una strana forma di “vero amore”.
Un libro che si legge d’un fiato, nel quale si è convinti di aver capito tutto, di conoscere il responsabile di quest’orrore, ma si finisce per accorgersi che ci si era inevitabilmente sbagliati. Trovo che Wulf Dorn sia un genio dello psicothriller, assolutamente imprevedibile e straordinariamente folle. 430 pagine di tensione crescente, incredulità e puro brivido. Stupendo, consigliatissimo!
N.B. Sconsigliato a persone troppo razionali, cardiopatiche o facilmente suggestionabili! Ovviamente scherzo, ma non troppo! :)
 
 
Opera recensita: “follia profonda” di Wulf Dorn
Editore: Corbaccio, 2012
Genere: thriller psicologico
Ambientazione: Germania
Pagine: 429
Consigliato: sì.
Consigli correlati:
Libri: “la psichiatra” dello stesso autore.

 

domenica 14 agosto 2016

RECENSIONE: DAVID HERBERT LAWRENCE - L'AMANTE DI LADY CHATTERLEY


Sinossi:

Connie Chatterley è moglie di sir Clifford, un aristocratico che in seguito a una ferita di guerra è diventato impotente (metafora della sterilità intellettualistica della sua cultura e della sua classe). Connie desidera la maternità e la sua carica vitale la spinge verso il guardacaccia Mellors. Nasce tra i due una passione e quando Connie si accorge di aspettare un bambino, lascia il marito e va a vivere insieme a Mellors. Per il verismo tattile con il quale racconta l'amore sessuale, per la critica aperta alle convenzioni sociali, per l'apparente esaltazione dell'adulterio, l'opera più famosa di Lawrence (colpita da sentenze di oscenità e volgarità) uscì "purgata" nel 1928, in Inghilterra; sarà pubblicata in edizione integrale solo nel 1960.


 

La mia ultima lettura, in questi giorni preferragostani, è stata “l’amante di Lady Chatterley” di David Herbert Lawrence, un romanzo che possiamo annoverare tra i classici della letteratura inglese.

Il libro narra la storia di Connie, bella ed inquieta moglie di Sir Clifford Chatterley, un industriale che, a seguito di un incidente al fronte, si ritrova paralizzato ed impotente. L’irrequieta Connie, insoddisfatta della propria vita matrimoniale, intraprende una relazione clandestina con uno dei servi del marito, l’irriverente, disincantato ma intelligente guardiacaccia Mellors, grazie al quale la donna conoscerà una “nuova vita” amorosa ed una sensualità a lei finora sconosciuta. Completamente rapita dalla nuova situazione, Connie si abbandona alla passione ed all’amore verso Mellors che cresce rapido in lei insieme al frutto delle sue infedeltà, fino al punto di decidere di abbandonare il marito ed andare a vivere con l’uomo che ama, lottando contro gli ostacoli delle maldicenze, delle convenzioni sociali, del bieco moralismo di paese, dell’infantile egoismo del marito.

La storia, in sé, non ha nulla di eccezionale ed è a tratti un po’ scontata, se vogliamo. Chiunque legga questo libro con gli occhi di chi vive nei giorni nostri lo troverà senz’altro banale e magari noioso. Ma per capire la forza rivoluzionaria della più importante opera di Lawrence bisogna immergersi nel periodo storico e nel contesto sociale in cui è ambientato: siamo nell’Inghilterra dei primi 900, con il primo conflitto mondiale in corso. E’ impensabile che una donna potesse ribellarsi al proprio destino, vivere così intensamente una relazione clandestina ed indurre il marito, aristocratico ed invalido di guerra, a divorziare. Un altro aspetto sorprendente in questo libro è costituito dalla descrizione minuziosa ed esplicita delle scene di sesso: ripeto, nulla di trascendentale se le consideriamo con occhi moderni abituati a molta più schiettezza, ma assolutamente rivoluzionarie, oscene e oltraggiose secondo la moralità dell’epoca. Basti pensare che il libro fu pubblicato in edizione privata nel 1928 e fu tacciato di oscenità, quindi ritirato e pubblicato in versione integrale solo nel 1960. Se c’è una cosa che, però, non ho proprio sopportato in questo romanzo sono state le descrizioni minuziose e sin troppo dettagliate di scene che poco apportavano alla trama: Lawrence si è concesso delle divagazioni fin troppo ampie per i miei gusti, che distraggono dalla storia ed ammazzano l’entusiasmo, almeno per quanto mi riguarda. Ad ogni modo la sua prosa, divagazioni a parte, è chiara e diretta, senza orpelli o barocchismi. Lo consiglio? Sì, ma con la raccomandazione di cui sopra: immergetevi nell’epoca e nella società in cui è ambientato e per cui è stato scritto. Solo così potrete coglierne la non convenzionalità, la critica alla società inglese e la rivoluzione che Lawrence ha voluto portare fino a noi con quest’opera.

 

Opera recensita: “l’amante di Lady Chatterley” di David Herbert Lawrence

Editore: Mondadori, 1928, ora Garzanti

Genere: letteratura inglese

Ambientazione: Inghilterra, 1917

Pagine: 377 (Garzanti, 24° ed. – 2007)

Consigliato: sì/no.

 

giovedì 11 agosto 2016

RECENSIONE: ELIF SHAFAK - LA BASTARDA DI ISTANBUL


Sinossi:

Istanbul non è una città, è una grande nave. Una nave dalla rotta incerta su cui da secoli si alternano passeggeri di ogni provenienza, colore, religione. Lo scopre Armanoush, giovane americana in cerca nelle proprie radici armene in Turchia. E lo sa bene chi a Istanbul ci vive, come Asya, diciannove anni, una grande e colorata famiglia di donne alle spalle, e un vuoto al posto del padre. Quando Asya e Armanoush si conoscono, il loro è l'incontro di due mondi che la storia ha visto scontrarsi con esiti terribili: la ragazza turca e la ragazza armena diventano amiche, scoprono insieme il segreto che lega il passato delle loro famiglie e fanno i conti con la storia comune dei loro popoli. Elif Shafak, nuova protagonista della letteratura turca, affronta un tema ancora scottante: quel buco nero nella coscienza del suo paese che è la questione armena. Simbolo di una Turchia che ha il coraggio di guardarsi dentro e di raccontare le proprie contraddizioni.

 

Due ragazze, due famiglie, due popoli, due mondi a confronto in questo bel romanzo di Elif Shafak.

La scrittrice turca cerca, in questo libro, di spiegare in modo semplice il genocidio degli armeni compiuto dai turchi nel 1915 e dagli stessi negato per molti anni. L’analisi di Elif Shafak parte dalle donne, le fantastiche donne mediorientali che in tanti libri rappresentano l’anima della civiltà, tra tavole imbandite di ogni sorta di prelibatezze, odori, colori, suoni. Le protagoniste principali sono Asia, ragazza turca vissuta in una famiglia di sole donne che le hanno fatto da zie e da madri, e Armanoush, armena americana divisa tra una iperprotettiva madre americana ed un’altrettanto presente famiglia armena. Quando le due ragazze si incontreranno il lettore avrà l’opportunità di assistere alla ricostruzione storica del genocidio da parte di Armanoush, allo sconcerto, all’incredulità ed alle perplessità di alcuni turchi, alla voglia di scoperta che pervade Asia, giovane donna che non conosce il suo passato ed è interessata a non fermarsi alle apparenze ed a saperne di più sul passato della sua nuova amica.

Questo libro ci racconta di una Istanbul sospesa tra un pesante passato ed una modernità che stenta a decollare; una città stupenda, ma piena di contraddizioni, in cui una donna con la minigonna viene ancora additata come pecora nera mentre in Tv c’è un video pop o la versione turca di un programma americano. Luci ed ombre di uno stato in perenne cambiamento, ma che in realtà sembra non voler cambiare per niente. Il tutto condito da un pizzico di magia e dagli ingredienti di un dolce che sa di perdono e riconciliazione.

Nel complesso il libro mi è piaciuto, direi che in alcuni tratti è anche divertente, anche se ci sono delle cose che sembrano un po’ forzate: in alcuni punti ho avuto l’impressione che alcuni eventi accadessero con un po’ troppa facilità, come se fossero scontati, quando magari avrebbero necessitato di qualche riga o un po’ di astuzia narrativa in più per introdurli nella storia. Giudizio positivo, comunque, perciò lo consiglio!

 

Opera recensita: “la bastarda di Istanbul” di Elif Shafak

Editore: Rizzoli, 2006

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: Istanbul

Pagine: 388

Consigliato: sì

Consigli correlati:

Musica: Radiodervish, soprattutto Istanbul e Yerevan; Litfiba: Istanbul.

 

lunedì 8 agosto 2016

RECENSIONE: FRANCESCA PALUMBO - LE PAROLE INTERROTTE

Sinossi:

Clara, fotografa, è separata e ha un figlio di cinque anni, Matteo, balbuziente.
Malaika è un’immigrata nigeriana, scappata da un centro di accoglienza per rintracciare il figlio disperso in mare durante il naufragio del barcone sul quale si trovavano per fuggire dal loro paese.
Il destino fa incontrare le due donne, apparentemente distanti ma in realtà molto simili nel loro tentativo individuale di restituire un senso agli eventi che attraversano le loro vite. L’incontro rappresenterà un nuovo punto di partenza per entrambe, una scossa che permetterà soprattutto a Clara di vedere la sua esistenza con occhi nuovi e considerare le cose da una prospettiva diversa.
Ambientato nella campagna pugliese, il romanzo diventa poi, attraverso il viaggio in camper verso Genova, una sorta di viaggio catartico che porterà le due donne ad acquisire una nuova consapevolezza.
Con tratti delicati e asciutti, l’autrice delinea una storia insolita in cui le parole e le azioni si fanno ancore di salvezza e in cui la tenerezza crepitante dello sguardo ricambiato è in grado di generare bellezza.

 

“Le parole interrotte” è un romanzo breve ma intenso, che porta con sé un carico di emozioni forti e ci pone di fronte ad aspetti della vita che richiedono una riflessione profonda.

Siamo in Puglia, nella campagna barese. E’ qui che Clara, fotografa trentacinquenne, separata e madre del piccolo Matteo, si rifugia per rilassarsi, raccogliere le idee e ritrovarsi… ed è qui che incontra Malaika, una donna nigeriana scappata dal proprio paese e giunta in Italia via mare, su un barcone. Malaika è ferita, ha bisogno d’aiuto e Clara, dopo l’iniziale sensazione di paura e disorientamento, non esita a portarla a casa sua, a curarla ed a cercare di instaurare una comunicazione con lei. Da questo momento comincerà un viaggio difficile, profondo e bellissimo che porterà le due donne a conoscersi, capire reciprocamente paure e necessità, fidarsi l’una dell’altra in un’amicizia crescente, in una solidarietà intima, tutta femminile. Clara e Malaika sono due donne, ma sono soprattutto due madri amorevoli che si riconoscono come simili nell’amore immenso che le lega ai loro figli: Clara vuole capire, proteggere, aiutare  Matteo, il figlio di 5 anni, che soffre di balbuzie; Malaika è alla disperata ricerca di suo figlio, che ha perso in mare durante la fuga verso l’Italia.

Clara è alle prese con le incertezze di ogni madre divisa tra il senso di protezione e la paura di esagerare, asfissiare, danneggiare il proprio bambino, mentre Malaika non sa neppure dove sia suo figlio, se sia ancora vivo eppure non rinuncia a cercarlo, sfidando le sue paure, la sorte e la legge. Le due donne percorreranno un pezzo importante del loro viaggio insieme, aiutandosi a vicenda a superare i momenti di difficoltà e di scoramento ed usciranno entrambe fortificate e rinnovate da questa esperienza insolita, drammatica e bellissima.

La bruciante attualità del tema dell’immigrazione non è l’unico spunto di riflessione che questo libro ci offre: c’è il tema del viaggio che è insieme crescita e scoperta di sé e degli altri; ci sono le riflessioni sulla maternità e sull’amicizia fraterna tra queste due stupende madri così diverse eppure così simili; c’è la straordinaria semplicità di Matteo che ci dimostra una volta di più come i bambini siano molto più bravi di noi adulti a comunicare ed a solidarizzare.

Un encomio va poi a Francesca Palumbo, che ha affrontato questi temi così ardui e profondi con una delicatezza, un’intensità ed una sensibilità ammirevoli. Scrittura fluida, chiara ed evocativa… bellissimo romanzo che consiglio caldamente a tutti!

 

Opera recensita: “Le parole interrotte” di Francesca Palumbo

Editore: Controluce, 2015

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: campagna barese, Italia, Genova

Pagine: 156

Consigliato: sì

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Libri: “Mare al mattino” di Margaret Mazzantini.

 

giovedì 4 agosto 2016

RECENSIONE: ALMUDENA GRANDES - TROPPO AMORE


Sinossi:

UNA MATTINA COME TANTE, AD ACCOGLIERE MARIA JOSÉ SÀNCHEZ SUL POSTO DI LAVORO È UNA TELEFONATA CHE LA RIPORTA INDIETRO DI QUALCHE ANNO, AI TEMPI IN CUI ERA UNA RAGAZZA CON I CAPELLI MOLTO LUNGHI E UNA SPICCATA VOCAZIONE ARTISTICA. A RITUFFARLA IN QUEI GIORNI È LA VOCE DI JAIME, IL VECCHIO COMPAGNO DELL'ACCADEMIA DI BELLE ARTI, CHE LE ANNUNCIA LA MORTE DI MARCOS, UN COMUNE AMICO. JAIME E MARCOS. VECCHI COMPAGNI, MA NON SOLO. DIETRO I LORO NOMI SI SQUARCIA UN PASSATO CHE NON È MAI PASSATO: ODORE DI ACQUARAGIA, DI HASHISH, DI CORPI SUDATI, IMMAGINI DI UN TRIANGOLO AMOROSO. TRE RAGAZZI, TRE DIVERSI TALENTI CHE, PROCEDENDO INSIEME, AVEVANO SCOPERTO IL PIACERE, PROVATO IL SENSO DEL POSSESSO, L'EBBREZZA DELLA SFIDA ALLE CONVENZIONI. UN LEGAME FORTE, UNA PASSIONE TOTALE CHE SBOCCIANDO SI CONSUMA, E CONSUMA CHI NE È TRAVOLTO. ROMANZO DI SENTIMENTI E NOSTALGIE, "TROPPO AMORE" È SOPRATTUTTO LA STORIA DI UNA FORMAZIONE ARTISTICA ED EROTICA, AI TEMPI DELLA MADRID ESALTANTE ED ECCESSIVA DELLA MOVIDA.

 

Maria Jose lavora in una grande casa d’aste, compra e vende opere d’arte, quelle opere che forse, se in passato avesse creduto un po’ più in se stessa, magari avrebbe dipinto. E’ annoiata, apatica, indifferente agli altri, non ricorda neanche i nomi delle tante persone con cui ha a che fare ogni giorno. Perciò, quando una mattina la sua segretaria le passa una telefonata annunciandole il nome del chiamante lei pensa subito ad un abbaglio, ad un’omonimia… chi la chiama non può essere quel Jaime che non vede da tanti anni e che ha amato tanto… e invece sì, è proprio lui e ciò che deve dirle non è piacevole: il loro amico Marcos è morto, si è suicidato.

La notizia scuote Maria Jose che si tuffa nei ricordi e, nelle 24 ore che passano tra la chiamata di Jaime e il funerale, ripercorre con la mente quegli anni, quel 1984 che ha vissuto così intensamente e che ricorda come il periodo migliore della sua vita.

Maria Jose, Jaime e Marcos hanno vissuto un rapporto che da semplice ménage-à-trois si è trasformato in un amore segreto, diverso, completo. Le manchevolezze dell’uno si compensavano nelle capacità dell’altro e tutti i pezzi si incastravano in un puzzle stupendo… ma purtroppo le cose belle spesso non sono destinate a durare a lungo… così un bel giorno il fragile equilibrio del trio si rompe e le vite dei tre ragazzi non saranno mai più le stesse, non saranno mai più complete perché mancherà sempre una parte del gruppo.

Il libro è scorrevole, scritto con uno stile diretto ma non lapidario, descrittivo e pieno di particolari, ma chiaro e lucido. Una storia che raccoglie la leggerezza della vita da studenti, la svogliatezza e la precarietà di tutti gli artisti boemiens, una buona dose di tensione erotica e una serie di problemi, di disagi psicologici che fanno riflettere. Tuttavia, nonostante sia interessante e ben scritto, questo libro non mi ha convinto fino in fondo… non so bene perché, ma non mi ha trasmesso quel pathos che, credo, l’autrice volesse instillare nel lettore attraverso le riflessioni di Jose, i suoi sensi di colpa, le incertezze ed infine il senso di abbandono e di fine.

In definitiva, ve lo consiglio per una lettura non impegnata: si legge in un giorno e si dimentica altrettanto velocemente… almeno, questa è la mia attuale impressione!

 

Opera recensita: “troppo amore” di Almudena Grandes

Editore: Guanda, 2011

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: Madrid, 1984-1985

Pagine: 166

Consigliato: sì/no.

 

lunedì 1 agosto 2016

RECENSIONE: SILVIA RONCHEY - IPAZIA, LA VERA STORIA.


Sinossi:

"C'era una donna quindici secoli fa ad Alessandria d'Egitto il cui nome era Ipazia." Fu matematica e astronoma, sapiente filosofa, influente politica, sfrontata e carismatica maestra di pensiero e di comportamento. Fu bellissima e amata dai suoi discepoli, pur respingendoli sempre. Fu fonte di scandalo e oracolo di moderazione. La sua femminile eminenza accese l'invidia del vescovo Cirillo, che ne provocò la morte, e la fantasia di poeti e scrittori di tutti i tempi, che la fecero rivivere. Fu celebrata e idealizzata, ma anche mistificata e fraintesa. Della sua vita si è detto di tutto, ma ancora di più della sua morte. Fu aggredita, denudata, dilaniata. Il suo corpo fu smembrato e bruciato sul rogo. A farlo furono fanatici esponenti di quella che da poco era diventata la religione di stato nell'impero romano bizantino: il cristianesimo. Perché? Con rigore filologico e storiografico e grande abilità narrativa, Silvia Ronchey ricostruisce in tutti i suoi aspetti l'avventura esistenziale e intellettuale di Ipazia, inserendola nella realtà culturale e sociale del mondo tardoantico, sullo sfondo del tumultuoso passaggio di consegne tra il paganesimo e il cristianesimo. Partendo dalle testimonianze antiche, l'autrice ci restituisce la vera immagine di questa donna che mai dall'antichità ha smesso di far parlare di sé e di proiettare la luce del suo martirio sulle battaglie ideologiche, religiose e letterarie di ogni tempo e orientamento.

Per citare un famoso film con Massimo Troisi, pensavo fosse un romanzo storico e invece era un saggio storiografico! Eh sì perché, fuorviata dalla quarta di copertina, pensavo di trovarmi di fronte ad un romanzo o ad un testo divulgativo in cui si raccontava la storia di Ipazia, la sua vita e poi la sua morte atroce. Invece no, la storia di Ipazia c’è, ma è prevalentemente nella prima parte del libro (circa 60 pagine). Per il resto l’autrice, docente universitaria e bizantinista di professione, raccoglie ed analizza con dedizione, passione e dovizia di particolari tutte le fonti storiografiche che parlano di Ipazia, partendo dagli autori suoi contemporanei per arrivare a Diderot. Ed in effetti, nel corso dei secoli, di questa donna filosofa, scienziata, matematica, si è parlato tanto ed in toni contrastanti e molta della sua fama è arrivata ai giorni nostri per via del modo in cui è stata uccisa: assalita mentre tornava da una lezione, denudata, fatta a brandelli, data alle fiamme. Tutto questo per ordine dell’allora Patriarca di Alessandria, il Vescovo Cirillo che nutriva invidia per il potere, la bellezza, l’intelligenza di Ipazia.

Silvia Ronchey ci rende edotti dei tanti modi in cui la storiografia tardo antica, medievale e moderna ha descritto quest’abominio: i più vicini al cristianesimo cirilliano lo vedono a dirittura come legittimo, gli avversari di Cirillo invece lo reputano deprecabile, i più lontani dal cristianesimo lo usano come argomentazione contro questa religione… Sta di fatto che quello di Ipazia è considerato il primo assassinio del fanatismo cristiano. Il libro è suddiviso in tre parti: “chiarire i fatti”, dove l’autrice ci racconta la storia di Ipazia ed il contesto storico-culturale in cui ha operato; “tradire i fatti”, in cui si parla delle numerose fonti storiografiche che narrano di lei; “interpretare i fatti”, in cui l’autrice mette ancora in luce i contrasti nelle interpretazioni storiografiche in relazione all’epoca ed alla corrente religiosa da cui lo storico proviene.

Ora, al di là del mio errore iniziale, il libro è interessante, se preso per quello che è, ossia un saggio documentato e puntuale delle fonti storiografiche che parlano di Ipazia. Perciò, se siete interessati a questo tipo di lettura non posso che consigliarvelo; se invece vi aspettate un romanzo o un testo divulgativo non è questo il libro che fa per voi.

 

Opera recensita: “Ipazia, la vera storia” di Silvia Ronchey

Editore: Rizzoli, 2010

Genere: saggio storiografico

Ambientazione: Alessandria d’Egitto

Pagine: 318

Consigliato: sì/no

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