simposio lettori copertina

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lunedì 31 ottobre 2016

RECENSIONE: VAMBA - IL GIORNALINO DI GIAN BURRASCA


Sinossi:

TORNA IL GIORNALINO PIU' DIVERTENTE DI TUTTI I TEMPI! Ogni giorno Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca, annota in un diario gli avvenimenti della sua vita e della vita della sua famiglia. Naturalmente, poiché è stato educato a non mentire mai, dice sempre la verità, anche quella che non dovrebbe o potrebbe dire, o che le sorelle e i loro fidanzati, poi mariti, non vorrebbero si sapesse. E, certo, combina un sacco di guai per merito dei quali viene chiuso nel collegio Pierpaoli dove non solo non si educa, bensì diviene l'anima di una ribellione contro la falsa e tirannica disciplina che vi è imposta da una ridicola ma prepotente coppia di proprietari-direttori. Il diario diviene così la protesta e la rivolta di un ragazzo contro il mondo conformista e soffocante dei ''grandi''. Non per nulla Vamba dedicò il Giornalino ''ai ragazzi d'Italia perché lo facciano leggere ai loro genitori''. Diffusa in ogni pagina del diario c'è una scintillante comicità tutta toscana

 

Avevo bisogno di una lettura divertente, non impegnativa, che mi permettesse di svagarmi e di farmi due sane risate, così ho deciso di leggere “il giornalino di Gian Burrasca”, un libro per ragazzi che mancava dalle mie letture d’infanzia: beh, obiettivo centrato in pieno!

E’ il 20 settembre e per il suo nono compleanno Giannino Stoppani, anche detto Gian Burrasca, riceve in regalo un giornalino (quello che oggi noi chiameremmo diario segreto) sul quale scrivere le sue memorie ed appuntare i suoi pensieri. Mai regalo fu più gradito per il nostro Giannino che di avventure da raccontare ne ha a bizzeffe… forse, però, gli mancano le persone a cui confidarle. Per sei mesi, quasi quotidianamente, Giannino riporta nel giornalino le sue “burlette”, i suoi pensieri, le sue tante “disgrazie”: la sua famiglia non perde occasione per prendersela con lui e punirlo, anche quando le sue azioni vengono fatte a fin di bene! Giannino è un anticonformista, un ribelle cui piace divertirsi, che non sopporta la noia e non tollera le ingiustizie e le falsità. E’ per questo che dice sempre la verità, ad ogni costo, anche se questa sua schiettezza gli ha procurato più bastonate che ringraziamenti. Com’è accaduto, per esempio, quella volta che ha suggerito alla zia Bettina, venuta in visita a casa sua, di andarsene prima della festa da ballo organizzata dalle sue sorelle perché queste le sarebbero state infinitamente grate… o quella volta che ha confidato all’avaro Signor Venanzio tutti i soprannomi affibiatigli dai suoi familiari: il vecchio Venanzio è quasi sordo, non può sentirli e Giannino crede di fargli un servigio rivelandogli i discorsi altrui.

Giannino, in realtà, non comprende l’ipocrisia e l’incoerenza degli adulti, non capisce perché un ragazzo non possa divertirsi con degli scherzi senza conseguenze, non riesce ad entrare nell’ottica degli ideali borghesi ed austeri della sua famiglia che poi sono quelli caratteristici dell’Italia dei primi Novecento. Sì, è vero, Giannino è una vera e propria peste, ma è anche sfortunato e, nonostante le sue tante marachelle, suscita tenerezza nella sua ingenuità e nel suo candore fanciullesco.

Questo libro, poi, è rivoluzionario per l’epoca in cui è stato scritto: uscì a puntate nel 1907-1908 e fu poi pubblicato nel 1920 suscitando, in un’Italia intrisa di moralismo e borghesismo, la riprovazione dei perbenisti del tempo che vedevano nella figura di Gian Burrasca un’incitazione alla ribellione ed insubordinazione dei ragazzi. Niente di più falso! Si tratta, al contrario, di un’opera di formazione rivoluzionaria per l’epoca e molto, molto attuale anche oggi: attraverso gli occhi di Giannino vediamo l’Italia con i suoi problemi di allora e di oggi, con le sue convenzioni sociali, la malasanità, la malagiustizia, i metodi di correzione ed educazione dei ragazzi totalmente fallimentari (si pensi al collegio Pierpaoli). Inoltre Giannino ci fa capire una cosa importantissima: spesso punire senza spiegare non è la soluzione perché, come ci spiega il nostro monello, i ragazzi si devono correggere non usando i bastoni perché quelli feriscono la carne ma non tolgono l’idea!

Questo libro, come scrive Luigi Bertelli in arte Vamba, era dedicato ai ragazzi perché lo facciano leggere agli adulti ed è, oggi più che mai, una lettura assolutamente istruttiva per grandi e piccoli. Se non l’avete ancora fatto, vi consiglio caldamente di leggerlo: è divertentissimo e fa riflettere molto!

 

Opera recensita: “il giornalino di Gian Burrasca” di Vamba

Editore: Giunti junior

Genere: letteratura per ragazzi

Ambientazione: Firenze, Roma

Pagine: 288

Prezzo: 7,90 €

Consigliato: sì.

 

venerdì 28 ottobre 2016

RECENSIONE: GIUSEPPE CATOZZELLA - NON DIRMI CHE HAI PAURA


Sinossi:

SAMIA È UNA RAGAZZINA DI MOGADISCIO. HA LA CORSA NEL SANGUE. OGNI GIORNO DIVIDE I SUOI SOGNI CON ALÌ, CHE È AMICO DEL CUORE, CONFIDENTE E PRIMO, APPASSIONATO ALLENATORE. MENTRE INTORNO LA SOMALIA È SEMPRE PIÙ PREDA DELL'IRRIGIDIMENTO POLITICO E RELIGIOSO, MENTRE LE ARMI PARLANO SEMPRE PIÙ FORTE LA LINGUA DELLA SOPRAFFAZIONE, SAMIA GUARDA LONTANO, E AVVERTE NELLE SUE GAMBE MAGRE E VELOCISSIME UN DESTINO DI RISCATTO PER IL PAESE MARTORIATO E PER LE DONNE SOMALE. GLI ALLENAMENTI NOTTURNI NELLO STADIO DESERTO, PER NASCONDERSI DAGLI OCCHI ACCUSATORI DEGLI INTEGRALISTI, E LE PRIME AFFERMAZIONI LA PORTANO, A SOLI DICIASSETTE ANNI, A QUALIFICARSI ALLE OLIMPIADI DI PECHINO. ARRIVA ULTIMA, MA DIVENTA UN SIMBOLO PER LE DONNE MUSULMANE IN TUTTO IL MONDO. IL SUO VERO SOGNO, PERÒ, È VINCERE. L'APPUNTAMENTO È CON LE OLIMPIADI DI LONDRA DEL 2012. MA TUTTO DIVENTA DIFFICILE. GLI INTEGRALISTI PRENDONO ANCORA PIÙ POTERE, SAMIA CORRE CHIUSA DENTRO UN BURQA ED È COSTRETTA A FRONTEGGIARE UNA PERDITA LACERANTE, MENTRE IL "FRATELLO DI TUTTA UNA VITA" LE CAMBIA L'ESISTENZA PER SEMPRE. RIMANERE LÌ, ALL'IMPROVVISO, NON HA PIÙ SENSO. UNA NOTTE PARTE, A PIEDI. RINCORRENDO LA LIBERTÀ E IL SOGNO DI VINCERE LE OLIMPIADI. SOLA, INTRAPRENDE IL VIAGGIO DI OTTOMILA CHILOMETRI, L'ODISSEA DEI MIGRANTI DALL'ETIOPIA AL SUDAN E, ATTRAVERSO IL SAHARA, ALLA LIBIA, PER ARRIVARE VIA MARE IN ITALIA.

 

Il libro di cui vi parlo oggi è stato scritto per raccontare una storia vera, una di quelle storie drammatiche e commoventi che a noi, che viviamo nella pace delle nostre comode case, sembrano incredibili. E’ la storia di Samia, una ragazza somala che insegue con tutte le sue forze un sogno: quello di correre alle Olimpiadi, ed è proprio lei a raccontarcela con la dolcezza, il candore e la forza esplosiva del suoessere guerriera.

La storia comincia quando Samia ha otto anni e vive a Mogadishu con gli amati genitori, il fratello Said, l’adorata sorella Odan e con Alì, il suo amico del cuore, quasi fratello e primo allenatore. Allenatore, sì, perché Samia non è una bambina qualsiasi: lei ha la corsa nel sangue, è un’atleta che venera il suo connazionale Mo Fara e che sa che un giorno correrà alle olimpiadi di Pechino e guiderà la liberazione delle donne somale dall’oppressione.

Sono questi sogni, questi obiettivi che la spingono a correre, sempre e comunque, anche di notte, da sola, nello stadio deserto su una pista martoriata dalle pallottole, anche quando nella sua città c’è la guerra e non si può più camminare per strada senza rischiare di essere scoperti, bastonati o arrestati. E la sua tenacia la premia, la porta a Pechino, alle olimpiadi, dove gareggia con le grandi atlete che ha sempre stimato. Ma Samia è mal nutrita, non ha muscoli, non ha i mezzi giusti per allenarsi e non ha un allenatore: arriva ultima, ma diventa un simbolo per le donne somale e musulmane, attirandosi però, ulteriori ire da parte delle milizie della sua città. Ed a farne le spese è la sua famiglia.

Samia non avrebbe mai voluto andarsene dalla sua terra, nonostante la guerra e la povertà, ma qualcosa in una notte d’estate la sconvolge. La ragazza capisce che non ha più senso restare in un paese che trasforma in mostri le anime più pure e parte, va in Etiopia a cercare un allenatore per continuare a correre, con l’obiettivo delle olimpiadi di Londra 2012. Ma i documenti dalla Somalia non arrivano ed in Etiopia Samia è una clandestina e non può allenarsi alla luce del giorno, non può competere con gli altri atleti, neppure qui può coltivare il suo sogno. Allora, spinta dalla forza della determinazione, parte per “il viaggio”, quel percorso che tutti i somali conoscono sin dall’infanzia, quello che dalla loro terra martoriata porta nel Sahara, in Libia e poi in Italia. Samia sa che sarà molto rischioso, sua sorella lo ha intrapreso poco tempo prima ed ora vive in Finlandia, ma Samia non può immaginare dove la condurrà questo viaggio e cosa dovrà sopportare. Ancora non sa fino a che punto può arrivare l’inferno.

Questa è una storia di Amicizia, di guerra e di coraggio; la storia di Samia dovrebbe essere raccontata nelle scuole, dovrebbe essere conosciuta dai tanti adulti che oggi, nel nostro bel Paese, criticano l’accoglienza ai migranti perché tutti dovremmo fermarci a riflettere sulle motivazioni che spingono questi uomini e queste donne a lasciare la loro terra per un po’ di pace in Italia, il Paese-miraggio, la porta per il futuro.

Con la voce di Samia, Giuseppe Catozzella ci mostra, con un’intensità devastante, le umiliazioni, le privazioni, le truffe cui tanti migranti sono sottoposti nel lungo e tribolato viaggio che li porta sulle nostre coste e ci mostra con spietato realismo quanto può essere difficile perseguire e realizzare un sogno quando parti dal fondo, dalle retrovie del mondo.

Una prosa chiara, intensissima, carica di sentimenti, che scatena nel lettore un nugolo di emozioni che lasciano il segno. E un encomio all’autore che è riuscito ad entrare ed a farci entrare così profondamente nel personaggio e nel suo ambiente. Lettura consigliatissima per tutti.

 

 Opera recensita: “Non dirmi che hai paura” di Giuseppe Catozzella

Editore: Feltrinelli, 2014

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Somalia, Etiopia, Sudan, Libia

Pagine: 240

Consigliato: sì.

martedì 25 ottobre 2016

RECENSIONE: WULF DORN - IL SUPERSTITE


Sinossi:

Prima del silenzio. Una notte d’inverno, la strada ghiacciata, neve tutt’intorno, un’auto sbanda, si schianta contro un albero, il guidatore è gravemente ferito. Aveva appuntamento con lo sconosciuto che poche ore prima aveva rapito suo figlio Sven, mentre era fuori casa con il fratello maggiore. Adesso tutto è inutile: l’uomo sa che sta per morire. E sa che anche suo figlio morirà. Dopo il silenzio. Da ventitré anni lo psichiatra Jan Forstner vive con l’angoscia della scomparsa del fratellino. Tutto ciò che gli resta è un registratore che Jan aveva portato con sé la notte in cui erano usciti insieme e dove sono incise le ultime parole di Sven: «Quando torniamo a casa?» E poi il silenzio. E gli incubi che da quella notte non hanno smesso di tormentarlo. La notte in cui il padre è morto in un incidente d’auto.
La vita di Jan si riassume tutta in quella notte: ha studiato psichiatria come suo padre, si è specializzato in criminologia e ora è tornato al punto di partenza: alla Waldklinik, la clinica dove lavorava il padre e dove adesso lavorerà anche lui. Vorrebbe ricominciare a vivere, lasciarsi alle spalle l’incubo, ma quando una paziente della clinica si suicida, Jan si trova coinvolto in un’indagine che svelerà un segreto atroce rimasto sepolto per ventitré anni…
Un intreccio cupo e misterioso, un thriller inquietante e avvincente: il nuovo romanzo di Wulf Dorn.

 

Vi ho già parlato di Wulf Dorn e dei suoi thriller a prova di brivido, quando ho recensito per voi “La psichiatra” e “follia profonda”. Bene, “il superstite” cronologicamente si incastra proprio tra questi due romanzi: successivo alla psichiatra e prequel di follia profonda e vi assicuro che i punti in comune sono sorprendentemente numerosi. Ma andiamo con ordine.

Anche in questo caso l’ambientazione è Fhalemberg, immaginaria cittadina della Germania dove la vita sembra ruotare intorno alla Waldklinik, la clinica psichiatrica dove lavora Jan Forstner. Il giovane psichiatra è tornato nella sua città d’origine dopo 23 anni di assenza: se n’era allontanato dopo la tragica morte del padre e la scomparsa del suo fratellino Sven, di sei anni, nella quale Jan era stato direttamente coinvolto. I due fratelli erano insieme quella fredda notte di gennaio del 1985 nel parco innevato di Fhalenberg. Erano lì perché Jan voleva stabilire un contatto con una ragazza fuggita dalla clinica la notte precedente e morta davanti ai suoi occhi proprio in quel parco. Ma poi, in un attimo di distrazione di Jan, il fratellino si era volatilizzato, scomparso nel nulla. Sono questi i fatti con cui  Jan, oggi trentacinquenne, deve fare i conti da 23 anni e che sembrano sempre più legati a nuove morti sospette verificatesi in concomitanza con il suo ritorno in città ed in clinica. Leggendo l’intreccio imbastito, come al solito magistralmente, da Dorn si ha come l’impressione di entrare in un effetto domino, una spirale di morte che appare sempre più inestricabile ed inarrestabile, in un crescendo di rischio e suspense. Tutto, in queste pagine, sembra avvolto nell’immobilità del silenzio, coperto da una fitta coltre di neve, ma se il ghiaccio si spezzasse e il silenzio venisse squarciato l’esplosione sarebbe molto forte, quasi assordante.

Dorn ci ha abituati ad intrecci articolati, a rompicapo in cui nulla può considerarsi definito e fino alla fine può accadere davvero di tutto: anche in questo caso il colpo di scena finale è simile ad un boato, tanto più che per tre quarti del libro si è certi di aver individuato il colpevole. Mettendo a confronto i precedenti thriller che ho letto di Dorn, devo ammettere che questo è leggermente più lento e con meno picchi di tensione, ma non è meno affascinante, specie quando si arriva alla fine e si ha una visione d’insieme. In definitiva, probabilmente meno brillante rispetto ad altri, ma comunque consigliatissimo! Un consiglio ulteriore: se vi è possibile, leggete i libri in ordine di pubblicazione per cogliere meglio tutti i punti di contatto. Buona lettura e… buon brivido!

 

Opera recensita: “il superstite” di Wulf Dorn

Editore: Corbaccio, 2011

Genere: thriller psicologico

Ambientazione: Germania

Pagine: 440

Prezzo: 18,60 €

Consigliato: sì

Consigli correlati: “la psichiatra” e “follia profonda” dello stesso autore.

 

venerdì 21 ottobre 2016

VLADIMIR NABOKOV: LOLITA


E’ difficile recensire i classici, ma lo è ancor di più quando si tratta di un romanzo così controverso com’è “Lolita” e sul quale è stato detto di tutto e di più. La mia, perciò, non è una recensione, ma un’esortazione a leggere questo (a parer mio e di molti altri) capolavoro.

La storia narrata da Nabokov in questo libro sarà certamente nota ai più, tuttavia, per completezza, dirò che si tratta dell’amore perverso del professor Humbert Humbert per Lolita, ossia Dolores Haigts, una “ninfetta” di dodici anni, di molti anni più giovane di lui. Qualcuno, in modo sin troppo sbrigativo ed avventato, liquida questa storia come un “semplice” affair di pedofilia: non sono d’accordo, sebbene sia innegabile che Humbert è un pedofilo. “Lolita” narra del controverso, ma altrettanto innegabile fascino suscitato da un giovane e (per la maggior parte dei casi) indifeso corpo femminile esercita sull’uomo adulto e, altresì, l’arte tutta femminile della seduzione che, in forma di gioco, talvolta può diventare sfida e malizioso, astuto opportunismo.

Tralasciamo qui qualunque giudizio morale che meriterebbe una riflessione approfondita ed una discussione ampia ed articolata che tenga conto del periodo storico, delle implicazioni psicologiche e patologiche dei personaggi. Parliamo invece del romanzo, della finzione letteraria ordita da Nabokov: che dire? Trama, in fin dei conti, semplice, arricchita da minuziose descrizioni di luoghi e sensazioni; stile impeccabile, prosa coinvolgente e fluida, nonostante il linguaggio spesso desueto (parliamo comunque di un romanzo scritto più di cinquant’anni fa); l’introspezione tipica degli scrittori russi è presente, ma invece che appesantire il romanzo, gli conferisce quell’aura scintillante di non detto, che sta giusto dietro alle apparenze ed è, forse, ciò che ha permesso a questo romanzo di far parlare di sé anche dopo tanto tempo. Pregevole, poi, la capacità di Nabokov di farci parteggiare, senza alcun dubbio, per il “colpevole”, per quel Humbert, povero e dannato Humbert, sedotto e provocato dalla demoniaca ninfetta. Questo risultato è raggiunto non solo attraverso una spiccata antipatia della bella e tutt’altro che spaurita fanciulla, ma anche attraverso il tono confidenziale ed accorato con cui lo stesso Humbert si rivolge direttamente al lettore: non dimentichiamo che queste memorie sono state scritte dal professor Humbert nei due mesi di prigionia in attesa del giudizio per un delitto da lui commesso. E’ lo stesso protagonista, come afferma nelle ultime righe, a consegnare la sua storia al lettore perché Lolita, la sua Lolita, viva nella coscienza delle generazioni future.

Non so se sono riuscita a convincere gli ultimi indecisi, ma penso che questo libro debba essere letto ed analizzato, discusso ed anche criticato per molti anni ancora. Stupendo!

 

martedì 18 ottobre 2016

RECENSIONE: LARS KEPLER - L'IPNOTISTA


Sinossi:
Si chiama Erik Maria Bark ed era l'ipnotista più famoso di Svezia. Poi qualcosa è andato storto e la sua vita è stata a un passo dal crollo. Ha promesso pubblicamente di non praticare mai più l'ipnosi e per dieci anni ha mantenuto quella promessa. Fino a oggi. Oggi è l'8 dicembre, è una notte assediata dalla neve ed è lo squillo del telefono a svegliarlo di colpo. A chiamarlo è Joona Linna, un commissario della polizia criminale con l'accento finlandese. C'è un paziente che ha bisogno di lui. È un ragazzo di nome Josef Ek che ha appena assistito al massacro della sua famiglia: la mamma e la sorellina sono state accoltellate davanti ai suoi occhi, e lui stesso è stato ritrovato in un lago di sangue, vivo per miracolo. Josef è ricoverato in grave stato di choc, non comunica con il mondo esterno. Ma è il solo testimone dell'accaduto e bisogna interrogarlo ora. Perché l'assassino vuole terminare l'opera uccidendo la sorella maggiore di Josef, scomparsa misteriosamente. C'è solo un modo per ottenere qualche indizio: ipnotizzare Josef subito. Mentre attraversa in auto una Stoccolma che non è mai stata così buia e gelida, Erik sa già che infrangerà la sua promessa. Accetterà di ipnotizzare Josef. Perché, dentro di sé, sa di averne bisogno. Sa quanto gli è mancato il suo lavoro. Sa che l'ipnosi funziona. Quello che l'ipnotista non sa è che la verità rivelata dal ragazzo sotto ipnosi cambierà per sempre la sua vita. Quello che non sa è che suo figlio sta per essere rapito...

 

Siamo in Svezia, è dicembre, pioggia e neve sono presenze costanti. Tutto, in questo libro, contribuisce a creare un’atmosfera di freddo. E’ un freddo avvolgente, che dà i brividi, che penetra nel profondo, esattamente come fa Erik Maria Bark, l’ipnotista più bravo e famoso di Svezia, durante le sedute del suo gruppo di ipnosi: conduce i suoi pazienti in un viaggio nel profondo dei loro ricordi per indurli a guardare ciò che li ha traumatizzati. Ma qualcosa va storto ed Erik è costretto a sospendere le sedute e promette di non esercitare mai più l’ipnosi. Mantiene la promessa per dieci anni, fino alla notte in cui il commissario Joona Linna lo chiama chiedendogli di ipnotizzare un giovane paziente gravemente ferito, Josef Ek. Il ragazzo ha visto uccidere i suoi genitori e la sorellina Lisa, ma c’è ancora Eveline, la sorella maggiore da salvare e l’unico a poterli aiutare è proprio Josef. Erik lo ipnotizza e ciò che scopre innescherà un’escalation di violenza inaudita ed inaspettata e la vita di Erik e della sua famiglia sarà in crescente pericolo.

Passato e presente si incontrano e si intrecciano in un crescendo di tensione, una matassa intricata che, più ci si addentra nella storia, più appare inspiegabile e difficile da dipanare.

Un thriller psicologico assolutamente consigliato, da divorare nelle fredde sere d’inverno, lasciandosi catturare completamente dalla storia, dai personaggi e dallo stile freddo, asettico, senza fronzoli di Lars Kepler che, quasi in una cronaca spietata, racconta il presente di Erik e Zimone fatto di incomprensioni e cose non dette, del loro figlio Benjamin che rischia la vita per colpa di un passato incombente e minaccioso, e del commissario Joona Linna, bello, coraggioso ed enigmatico poliziotto dal melodioso accento finlandese che, quando ha ragione (il che accade spesso) non perde occasione di farlo notare a chi ha davanti.

Un thriller che mi è piaciuto molto, il primo della serie scritta da Lars Kepler, pseudonimo di una coppia di scrittori svedesi che ha scalato le classifiche di vendita nel 2010 diventando, a giusta ragione, un caso editoriale. E poi come si fa a non adorare le atmosfere nordiche, il freddo, l’apparente ordine e silenzio che avvolge ogni cosa, caratteristiche tipiche dei thriller scandinavi? Stupendo, consigliatissimo!

 

Opera recensita: “L’ipnotista” di Lars Kepler

Editore: Longanesi, 2010

Genere: thriller psicologico

Ambientazione: Svezia

Pagine: 585

Prezzo: 18,60 €

Consigliato: sì.

 

venerdì 14 ottobre 2016

RECENSIONE: PAOLA MASTROCOLA - L'ESERCITO DELLE COSE INUTILI


Sinossi:
«Insomma, quel mattino di novembre, mentre andavo a zonzo nel vuoto da non so quanto tempo, succede che io incontro questo tale. E vi posso dire che, accidenti, se prendevo a destra anziché a sinistra non lo avrei incontrato. Quindi? Quindi tutto questo deve pur significare qualcosa. Ho preso a sinistra ed è stato tutto quel che è stato, questa benedetta storia che adesso vi racconto». È da qui che prende avvio il romanzo, per trascinarci presto in un altrove abitato da asini, libri, funamboli, macinini da caffè, poeti, scollatori di francobolli e altre mirabolanti creature. E poi c'è Guglielmo, un ragazzino che scrive delle lettere sgangherate e bellissime da cui emerge a poco a poco la sua storia. E c'è qualcuno, Raimond, che raccoglie quelle parole e le trasforma in un'azione. Perché ciò che è vecchio, desueto, ai margini, eccentrico, può essere mosso da un'energia misteriosa e seguire strade poco battute, dove l'utile e l'inutile sanno ribaltarsi l'uno nell'altro e diventare, forse, una sostanza nuova.

 
Confesso che, sebbene abbia scritto molti libri, alcuni anche premiati, è il primo libro che leggo di Paola Mastrocola e, a lettura ultimata, mi chiedo:”perché non la conoscevo? Perché non l’ho letta prima?”.

“L’esercito delle cose inutili” è un libro spassoso, divertente, originalissimo, ma che regala mille spunti per riflettere. E’ la storia di Raimond, un asino vecchio e randagio che, un bel giorno, incontra Res, un libro alto quanto un litro di latte, che lo conduce nel paese delle cose inutili, un luogo strampalato popolato dalla gente più strana. Qui possiamo trovare, ciascuno nel suo prato, gli avvitatori di lampadine, i raccoglitori di conchiglie, i trapiantatori di primule e così via. Sono loro i protagonisti di questa bella storia, loro e Guglielmo, un ragazzino di undici anni che non riesce a salire sulla pertica, che ama scrivere temi e lettere e che ha un problema. E’ proprio per aiutare Guglielmo che Raimond ed i suoi compagni si uniscono in un’impresa pseudo eroica che si trasforma in una festa. Non ci avete capito niente? Volete sapere cosa intendo? Beh, leggete il libro e capirete! Vi assicuro, ne vale lapena.

I temi chiave sono senz’altro l’amicizia, la fiducia negli altri, il rispetto per chi è diverso da noi e l’importanza del passato e dei ricordi. Con uno stile diretto e colloquiale, Paola Mastrocola ci porta in un mondo che sembra tanto diverso dal nostro, ma che in fondo non lo è poi così tanto, dove conosceremo creature che hanno tanto da insegnarci. Un libro da leggere a qualsiasi età: va bene per i ragazzi, per i preadolescenti come Guglielmo, ma anche per gli adulti che ognitanto dimenticano di essere stati bambini. Davvero una piacevole scoperta!

 

Opera recensita: “l’esercito delle cose inutili” di Paola Mastrocola

Editore: Einaudi, 2015

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: il paese delle cose inutili

Pagine: 212

Prezzo: 17,50 €

Consigliato: sì.

 

mercoledì 12 ottobre 2016

RECENSIONE: SOMALY MAM - IL SILENZIO DELL'INNOCENZA


Sinossi:

Mi chiamo Somaly; o, per lo meno, così mi chiamo adesso. Come tutti, in Cambogia, di nomi ne ho avuti parecchi. Un nome deriva da una scelta provvisoria, lo si cambia come si cambia vita se la sfortuna si accanisce contro di noi, per esempio. Ma non mi ricordo bene dei nomi che ho avuto quando ero piccola. Del resto, non ricordo quasi niente della mia prima infanzia; non so granché delle mie origini e ho ricostruito a posteriori, da vaghi ricordi, quel minimo di storia che sto per raccontarvi... Nata nella poverissima campagna cambogiana, dove i genitori arrivano a vendere i propri figli all'età di cinque o sei anni per pochi soldi, Somaly Mam, oggi trentacinquenne, ha vissuto parte dell'adolescenza in un bordello, in condizione di schiavitù. Violentata, picchiata e torturata, è riuscita a sottrarsi al suo destino e insieme al marito Pierre Legros ha creato nel 1997 un'associazione no-profit, la AFESIP (Agir pour les femmes en situation précaire) che dalla Cambogia, dove ha la sede principale, si è rapidamente sviluppata in Tailandia, Vietnam e Laos. Nonostante abbia subito numerose minacce, finora Somaly Mam è riuscita a salvare dalla prostituzione e dalla schiavitù migliaia di ragazze. "Il silenzio dell'innocenza" racconta la sua storia, la storia di migliaia di persone come lei, il dolore e la rabbia, ma anche la speranza che il mondo possa cambiare.

 

Duro, crudo, angosciante proprio come la storia che racconta. Questo libro è un pugno nello stomaco dal quale è difficile riprendersi. Tuttavia leggerlo serve: serve a noi per capire che il mondo non è solo quello civilizzato ed ordinato che ruota intorno a noi, ma anche quello povero, disastrato e corrotto in cui vivono milioni di persone poco al di là del nostro naso. E serve anche a Somaly Mam che lo ha scritto: dobbiamo dimostrarle che le infinite sofferenze che ha vissuto non sono state vane. Anche scrivere questo libro e ricordare le atrocità di cui è stata vittima per lei è stato difficile: non ricorda quasi nulla della sua infanzia, ricorda solo gli odori, i colori ed i sapori della foresta e del villaggio in cui ha trascorso i primi anni della sua vita. Dall’età di otto anni è stata venduta, costretta a lavorare per portare soldi ad un vecchio che li spendeva in alchool e la picchiava, ma al quale lei doveva rispetto. E’ stata violentata più e più volte, venduta da un bordello all’altro, il suo corpo ha subito le umiliazioni più atroci da cambogiani e bianchi di ogni fazione politica o etnia. Ma è riuscita ad uscirne, con sommi sforzi e difficoltà indicibili che le hanno lasciato segni indelebili ed ha fondato un’associazione, l’Afesip, che si occupa di salvare quante più bambine e raggazze possibile dal traffico delle donne e dal giro della prostituzione.

I suoi nemici più grandi sono la corruzione, l’indifferenza, la mentalità ristretta e la grande pressione economica. Ma lo sono anche il doppiogioco della polizia, i poteri forti di personalità intoccabili, la lentezza nell’arrivo dei fondi, la burocrazia che seppellisce la speranza. Eppure lei non si è arresa, nonostante le minacce di morte rivolte a lei, alla sua famiglia ed ai suoi collaboratori, Somaly porta avanti la sua battaglia: salvare quante più ragazze possibile ed aiutarle a raggiungere un’indipendenza finanziaria attraverso il reinserimento sociale e professionale.

Questo libro, in cui Somaly racconta in prima persona la sua storia, è una testimonianza forte e dura da mandar giù, soprattutto per noi occidentali che poco sappiamo del degrado e dell’umiliazione ancora così presente e radicata in certe parti del mondo. Confesso che non è stato facile portare a termine la lettura, sia per lo stile a tratti non esattamente scorrevole, sia per la crudezza delle vicende raccontate. Tuttavia credo che non bisogna sottrarsi a storie come questa: conoscere è il primo passo per cambiare le cose, anche nel nostro piccolo, anche attraverso le pagine di un libro.

Perciò vi dico: farà male, ma leggetelo.

 

Opera recensita: “il silenzio dell’innocenza” di Somaly Mam

Editore: Corbaccio, 2007

Genere: autobiografia

Ambientazione: Cambogia

Pagine: 192

Prezzo: 13,60 €

Consigliato: sì.

 

lunedì 10 ottobre 2016

RECENSIONE: MILAN KUNDERA - L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL'ESSERE


Sinossi:

Protetto da un titolo enigmatico, che si imprime nella memoria come una frase musicale, questo romanzo obbedisce fedelmente al precetto di Hermann Broch: «Scoprire ciò che solo un romanzo permette di scoprire». Questa scoperta romanzesca non si limita all’evocazione di alcuni personaggi e delle loro complicate storie d’amore, anche se qui Tomáš, Teresa, Sabina, Franz esistono per noi subito, dopo pochi tocchi, con una concretezza irriducibile e quasi dolorosa. Dare vita a un personaggio significa per Kundera «andare sino in fondo a certe situazioni, a certi motivi, magari a certe parole, che sono la materia stessa di cui è fatto». Entra allora in scena un ulteriore personaggio: l’autore. Il suo volto è in ombra, al centro del quadrilatero amoroso formato dai protagonisti del romanzo: e quei quattro vertici cambiano continuamente le loro posizioni intorno a lui, allontanati e riuniti dal caso e dalle persecuzioni della storia, oscillanti fra un libertinismo freddo e quella specie di compassione che è «la capacità massima di immaginazione affettiva, l’arte della telepatia, delle emozioni». All’interno di quel quadrilatero si intreccia una molteplicità di fili: un filo è un dettaglio fisiologico, un altro è una questione metafisica, un filo è un atroce aneddoto storico, un filo è un’immagine. Tutto è variazione, incessante esplorazione del possibile. Con diderotiana leggerezza, Kundera riesce a schiudere, dietro i singoli fatti, altrettante domande penetranti e le compone poi come voci polifoniche, fino a darci una vertigine che ci riconduce alla nostra esperienza costante e muta. Ritroviamo così certe cose che hanno invaso la nostra vita e tendono a passare innominate dalla letteratura, schiacciata dal loro peso: la trasformazione del mondo intero in una immensa «trappola», la cancellazione dell’esistenza come in quelle fotografie ritoccate dove i sovietici fanno sparire le facce dei personaggi caduti in disgrazia. Esercitato da lungo tempo a percepire nella «Grande Marcia» verso l’avvenire la più beffarda delle illusioni, Kundera ha saputo mantenere intatto il pathos di ciò che, intessuto di innumerevoli ritorni come ogni amore torturante, è pronto però ad apparire un’unica volta e a sparire, quasi non fosse mai esistito.

 

Questo libro era nella mia wishlist da molto, molto tempo ed ora che l’ho finalmente terminato non so come cominciare la mia recensione: le cose da dire sarebbero tante, ma ho paura di cadere nel banale e dire meno di quanto vorrei.

Tanto per cominciare siamo a Praga, in quella che oggi conosciamo come Repubblica Ceca, ma che al tempo della storia era ancora la Boemia. L’occupazione sovietica è un’ombra pressante per le strade della città e nelle vite dei suoi abitanti. Microfoni e cineprese registrano le loro conversazioni che vengono ascoltate dalla polizia segreta e talvolta trasmesse in radio. E’ in questo clima di terrore appena velato che nasce e cresce la storia di Tomàs e Teresa, colonna portante di questo romanzo così particolare.

E’ dall’incontro di queste due anime che, con tono dapprima distaccato e via via sempre più partecipe, Kundera comincia il suo racconto crudelmente concreto.

Lei è una ragazza di umili origini, costretta in una casa ed in una famiglia asfissianti, dove il concetto di privacy è sconosciuto; lui è un chirurgo importante e stimato da tutti, un uomo che ha paura di legarsi ad una donna, che ama fare l’amore, ma non dormire con qualcuno, un traditore inguaribile ed impenitente. Ma stranamente con Teresa c’è qualcosa di diverso, di più profondo, può dormire con lei, può farci l’amore, può anche vivere la sua vita al suo fianco. E poi c’è Sabina, bella, irriverente ed anaffettiva. E Franz, il sognatore Franz che combatte le sue battaglie rischiando anche la vita in nome di un sentimento ormai solo idealizzato. E Karenin, il fedele cane di Teresa e Tomàs, con i suoi rituali e la sua presenza costante e silenziosa. Sono loro i principali protagonisti di questa storia e l’autore è quello che definiremmo un narratore onnisciente che racconta fatti, pensieri, sensazioni dei protagonisti come se vedesse dentro la loro mente. Ma infondo le vicende di questi uomini e donne sono funzionali per raccontarci ciò che è sullo sfondo, l’occupazione, la coartazione del pensiero, il rovesciamento delle vite e delle relazioni. Ciò che Kundera, in fin dei conti, racconta è l’eterna lotta tra l’anima e il corpo, tra volontà e opportunità, tra ciò che si pensa e ciò che si deve dire o fare.

E lo fa con sorprendente distacco alternato a grande partecipazione emotiva, con una prosa chiara, nonostante i molti richiami filosofici e letterari utili a spiegare ancor meglio i concetti espressi, se mai ce ne fosse bisogno.

Ed ora le considerazioni personali. Mi è piaciuto questo libro? Sì, indubbiamente sì. Non è un romanzo facile, sia per lo stile non sempre immediato, sia per la forza dei concetti trattati, ma vale di certo la pena leggerlo. Mi sento di dare piena ragione a chi annovera questo libro tra i classici e gli hever green: credo che tutti dovrebbero leggerlo almeno una volta nella vita e fermarsi a riflettere sui numerosi spunti che ci regala. Consigliato dunque? Sì, assolutamente sì.

 

Opera recensita: “l’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera

Editore: Adelphi, 1984

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: Boemia (Repubblica Ceca)

Pagine: 318

Prezzo: 22 €

Consigliato: sì.

Consigli correlati: il film omonimo tratto dal romanzo.

 

venerdì 7 ottobre 2016

RECENSIONE: LESLEY DOWNER - IL KIMONO ROSSO


Sinossi:

Hana indossa il suo kimono da cerimonia; i capelli lunghi fino a terra sono spalmati d’olio e raccolti in un’acconciatura ordinata, come vuole la tradizione. Saluta il comandante Yamaguchi, suo marito, che sta partendo per combattere i ribelli del Sud e difendere lo shogun e il suo Paese. Malgrado non sia innamorata del comandante, la giovane e bella Hana si è sempre comportata secondo le consuetudini, per sentirsi adeguata al suo ruolo di moglie. Rimasta sola, custodisce la loro casa, mentre lo scontro tra i ribelli e l’esercito imperiale si avvicina e si fa sempre più sanguinoso e violento. Ora anche Hana è in pericolo e, nonostante sappia usare con maestria l’alabarda giapponese, deve arrendersi e fuggire.
Un breve viaggio pieno di ostacoli, al termine del quale viene accolta dai colori, suoni e profumi di Yoshiwara, il quartiere del piacere di Tokyo. Una casa per cortigiane diventa il suo rifugio, e la sua vita prende una direzione imprevista.
Inizialmente intenzionata a raggiungere il marito, Hana trova nella casa un calore umano che mai aveva conosciuto e viene a poco a poco attratta dall’atmosfera vitale e vivace del quartiere. Scoprendo dentro di sé una sensualità fino a quel momento ignorata, si trasforma in una perfetta cortigiana e assapora per la prima volta il gusto della libertà e il sottile piacere della seduzione. Ma è Yozo, un coraggioso soldato, a cambiarle definitivamente la vita. Sfuggito alla cattura dei suoi nemici, si dirige nell’unico posto in cui un uomo sa di essere al sicuro: Yoshiwara. Nella città che non conosce il sonno, Yozo e Hana s’incontrano e s’innamorano, ma il ragazzo nasconde un segreto che, una volta rivelato, incomberà come una minaccia sulle loro vite, oscurando la loro felicità.

 

Un sottofondo strumentale di shamisen, una tazza di thè bollente o, se preferite, di sakè e questo libro: vi assicuro che la serata è più che riuscita! “Il kimono rosso” è un romanzo storico appassionante e vibrante, da leggere d’un fiato lasciandosi trascinare dalle atmosfere d’altri tempi ed altri luoghi così ben descritte da Lesley Downer.

Siamo in Giappone, nella seconda metà dell’Ottocento. L’esercito del Nord combatte per difendere il Paese e lo Shogun dall’assalto dei meridionali. La guerra imperversa crudele mettendo in ginocchio tutto il Giappone ed in particolare Edo, oggi Tokyo, l’antica capitale del Nord. Ma c’è un luogo dove la guerra sembra non entrare, un solo posto dove resiste ancora una parvenza di benessere e lusso sfrenato: è Yoshiwara, il quartiere del piacere a poca distanza da Edo. E’ qui che chi fugge dalla guerra può trovare riparo: mogli di Samurai, guerrieri del nord in fuga, uomini e donne che rischiano la vita e non hanno altro posto dove nascondersi. Ma mentre gli uomini possono riorganizzarsi, sperare, adattare la loro vita alle nuove esigenze della latitanza, per le donne sole il prezzo da pagare è ben più alto: per sopravvivere sono costrette a diventare delle cortigiane. E’ questa la sorte toccata ad Hana, la giovane e bella moglie del comandante Yamagucy, valoroso samurai partito al fronte. La ragazza, costretta ad abbandonare la casa coniugale sotto la minaccia dei soldati del Sud, fugge fino a Edo, ma trova una città semideserta, in completo declino, spettrale e sinistra. Qui, smarrita e spaventata, incontra una ragazza che le promette un posto caldo e sicuro e con l’inganno la introduce a Yoshiwara, vendendola alla migliore casa di piacere del quartiere. Dopo molti turbamenti Hana accetta il suo destino e diventa la più splendida delle cortigiane, circondata da lusso ed opulenza, ma quando incontra Yozo, giovane soldato in fuga dal nord, capisce che non potrà mai accettare una vita senza amore, senza sentimenti, in una gabbia dorata in cui ogni oggetto lussuoso è in realtà una catena alla sua libertà. Tutto a Yoshiwara è finzione, apparenza, tutto nasconde un intrigo di bugie e crudeltà… tutto, tranne il sentimento che travolge Hana e Yozo. Con coraggio e perseveranza i due giovani lottano per uscire dalla loro condizione infelice, liberarsi dai fantasmi del passato e riappropriarsi della loro vita… ma il percorso è pieno di insidie e l’impresa sarà tutt’altro che semplice.

Passione, determinazione, crudeltà spietata, coraggio, amore, amicizia sono i valori che dominano questo romanzo: le pagine traboccano di sentimenti contrastanti, amore e morte, sensualità e dolore, rischio ed esaltazione. Una lettura che rapisce come i profumi, colori, i suoni di Yoshiwara ed abbaglia come una spada sguainata che brilla al sole.

Lo consiglio assolutamente a chi ama il Giappone, la sua cultura e le sue tradizioni. Tempo fa, inoltre, ho confrontato per voi alcuni libri che trattavano la figura della geisha: beh, qui trovate l’altra faccia del mondo fluttuante, quella delle cortigiane, con cui le geishe vengono spesso confuse. Anche questo è un punto di vista da analizzare e conoscere.

 

 Opera recensita: “Il kimono rosso” di Lesley Downer

Editore: Piemme, 2011

Genere: romanzo storico

Ambientazione: Giappone, seconda metà dell 800

Pagine: 368

Prezzo: 11 €

Consigliato: sì.

 

sabato 1 ottobre 2016

RECENSIONE: CHRISTINA BAKER KLINE - LE COSE CHE NON SO DI TE


Sinossi:

Molly ha solo diciassette anni ma una spiccata predilezione per i guai. In affido presso due genitori disarmati, dopo aver rubato Jane Eyre dalla biblioteca della scuola, per punizione è costretta a recarsi ogni pomeriggio a casa dell’anziana signora Vivian per aiutarla nelle pulizie. L’ incontro tra le due non è certo dei più promettenti: Molly ha sempre il broncio, si esprime a monosillabi, è piena di piercing e ha due ciocche ossigenate ai lati del viso. Vivian però è una donna speciale a cui la vita ha tolto e regalato tanto: non si fa certo intimidire dall’aspetto di Molly. Giorno dopo giorno, le due scoprono di avere qualcosa di molto profondo che le unisce: anche Vivian infatti è rimasta sola da piccola e, come tanti altri bambini della sua epoca, venne messa sul “Treno degli orfani” per trovare una famiglia che si facesse carico di lei. E quando Molly capisce di poterla aiutare a dipanare il mistero che da tanti anni la perseguita, la scintilla dell’affetto più grande e sincero libererà entrambe.

La storia di un’amicizia che incanta e commuove.
Christina Baker Kline racconta il miracolo di un cuore grande e generoso.


 

Dal 1854 al 1929 circa duecentomila bambini sono stati trasportati dalle città orientali degli Stati Uniti al Mid-west a bordo dei “treni degli orfani”. Si trattava di bambini senza famiglia, spesso figli di immigrati italiani, polacchi, irlandesi, per i quali si cercava una famiglia pronta a prenderli in affidamento, ad adottarli. Spesso, però, l’adozione era solo una scusa per avere manod’opera gratuita, lavoranti, servi, quasi schiavi.

La protagonista di questo libro è proprio una di quei bambini: il suo nome originario era Niamh, tipico nome irlandese, poi cambiato in Dorothy ed infine in Vivian. La donna, che ora ha 91 anni, racconta la sua storia a Molly, una diciassettenne ribelle per necessità, orfana anche lei, ma le cui radici affondano nella storia degli indiani d’America. Molly si stupisce nel notare quanti punti hanno in comune le due storie, la sua e quella di Vivian, perennemente in viaggio, in lotta per sopravvivere, con la continua paura di perdere tutto, anche quel poco che si è costruito, e con il crescente bisogno di un po’ di calore, comprensione e pace.

Il libro è diviso tra presente e passato, tra la storia di Molly e la sua neonata amicizia con Vivian e la storia della donna, lunga e travagliata, che dal treno degli orfani del 1929 l’ha portata fino a qui, in una bella casa del Maine, ottant’anni dopo. La storia di Vivian, o Niamh, è davvero struggente ed emozionante, inoltre, raccontandole con la prima persona singolare (come se a parlare fosse Vivian), Christina Baker Kline descrive le angherie e i soprusi subiti e ci porta ad immedesimarci nell’angoscia di questa bambina forte e straordinaria. La storia di Molly, sebbene sia d’impatto, è meno sconvolgente, forse perché più vicina a noi e quindi più nota, ma ha comunque il giusto peso nella trama e fa da filo conduttore e.

La scrittura della Baker Kline è chiara e lineare, particolarmente intensa e coinvolgente nei capitoli in cui parla Vivian. Una lettura che fa riflettere su temi profondi come l’immigrazione, l’adozione, l’amicizia, ma soprattutto il rispetto per gli altri. Consigliato davvero a tutti e preparatevi perché la lacrimuccia scende in più punti!

 

Opera recensita: “le cose che non so di te” di Christina Baker Kline

Editore: Giunti, 2014

Genere: narrativa internazionale

Ambientazione: Stati Uniti (Maine, Minnesota)

Pagine: 336

Prezzo: 12,00 €

Consigliato: sì.