simposio lettori copertina

simposio lettori copertina

venerdì 29 settembre 2017

RECENSIONE: SIMONETTA AGNELLO HORNBY E GEORGE HORNBY - NESSUNO PUO' VOLARE


Sinossi:

Quando si nasce in una famiglia inconsueta come quella di Simonetta Agnello Hornby, sin da piccoli si cresce con la consapevolezza che si è "tutti normali,

ma diversi, ognuno con le sue caratteristiche, talvolta un po' 'strane'". Attraverso una serie di ritratti sapidi e affettuosi, facciamo così la conoscenza

della cugina Ninì, sordomuta ("Ninì non parla bene", si spiega agli estranei), dell'amata bambinaia ungherese Giuliana, un po' zoppa, del padre con una

gamba malata, e della "pizzuta" prozia Rosina, cleptomane - quando l'argenteria scompare dalla tavola, i parenti le si avvicinano di soppiatto per sfilarle

le posate dalle tasche, piano piano, senza che se ne accorga, perché "la zia non deve sentirsi imbarazzata". E poi naturalmente conosciamo George, sia

attraverso le parole di sua madre, sia grazie alla sua voce, che si alterna come un controcanto ironico (cento per cento british), ma deciso nel raccontare

i tanti ostacoli di chi si muove in carrozzina. E proprio come Simonetta con le storie di un tempo passato ci regala uno sguardo insolito e genuino sul

mondo, così anche George, a cui quindici anni fa è stata diagnosticata la sclerosi multipla, ci consegna un punto di vista diverso da cui osservare le

città che abitiamo, le persone che ci circondano e noi stessi.

 

Commento:

Confesso che quando ho scelto di leggere questo libro ho fatto una cosa per me alquanto inconsueta: ho letto solo titolo ed autrice, non anche la sinossi, e mi ci sono tuffata a scatola chiusa. Forse è per questo che, almeno nella fase iniziale, ho avuto qualche difficoltà a capire che le voci narranti sono due (la madre, l’autrice, ed il figlio George) e figuratevi poi la sorpresa quando ho capito che l’argomento sarebbe stato la disabilità. “Nessuno può volare” è il racconto a due voci della vita di un’intera famiglia, gli Agnello Hornby, con tutte le difficoltà e le piccole gioie di ogni famiglia normale. Sì, perché la famiglia di cui si parla qui è normale, anche se al suo interno un bel giorno si è insinuato un elemento non richiesto, la sclerosi multipla primaria progressiva, la malattia incurabile che ha costretto George su una sedia a rotelle. Qui troviamo non uno, ma ben due punti di vista sull’argomento: quello dell’autrice, una pragmatica, un’avvocatessa di mente aperta abituata ad incontrare le umanità più diverse, che racconta come già nella sua famiglia d’origine ci fossero tante piccole diversità tutte tollerate, spiegate e valorizzate senza reticenze; poi c’è il punto di vista di George, avvocato e poi banchiere della City che da un giorno all’altro si ritrova ad inciampare per strada sempre più spesso e da qui ad intraprendere una trafila medica interminabile e che lo porterà ad un verdetto infausto.

Nessuno dei due è disposto ad arrendersi e madre e figlio affrontano la malattia in modo diverso, ma affine: non ci sarà una cura per la sclerosi da cui è affetto George, è vero, ma ci sono tanti modi per permettergli di condurre la sua vita il più dignitosamente possibile… tutto sta nel volerli trovare e George è da subito in prima linea nella gara per trovare soluzioni.

Un libro sobrio, a volte spigoloso, ma sempre sincero, nel quale si affronta la disabilità senza sentimentalismi e con molta sincerità. Simonetta Agnello Hornby non ha peli sulla lingua né quando si tratta di denunciare le inadeguatezze del sistema o l’inaccessibilità di alcuni luoghi, né quando si tratta di denigrare il comportamento di alcuni disabili. Perché chi l’ha detto che i disabili sono tutti buoni? E George, dal canto suo, è un esempio di volontà di riscatto, indipendenza e maturità.

Consiglio questa lettura proprio per la sincerità con cui affronta l’argomento “disabilità”: alcune posizioni meriterebbero una rilettura per essere comprese a pieno, ma fondamentalmente sono d’accordo su molti dei concetti anticonformisti espressi dall’autrice e da suo figlio.

 

 

Opera recensita: “Nessuno può volare” di Simonetta Agnello Hornby e George Hornby

Editore: Feltrinelli, 2017

Genere: biografia-autobiografia

Ambientazione: Italia-Inghilterra

Pagine: 220

Prezzo: 16,50 €

Consigliato: sì.

 

giovedì 28 settembre 2017

RECENSIONE: DAVID LAGERCRANTZ - L'UOMO CHE INSEGUIVA LA SUA OMBRA (MILLENNIUM#5)


Sinossi:

L’aver portato alla luce un intrigo criminale internazionale, mettendo in mano al giornalista investigativo più famoso di Svezia lo scoop del decennio,

non è bastato a risparmiare a Lisbeth Salander una breve condanna da scontare in un carcere di massima sicurezza. E così, mentre a Mikael Blomkvist e a

Millennium vanno onori e gloria, lei si ritrova a Flodberga insieme alle peggiori delinquenti del paese, anche se la cosa non sembra preoccuparla più di

tanto. È in grado di tener testa alle detenute più spietate – in particolare una certa Benito, che pare avere l’intero penitenziario ai suoi piedi, guardie

comprese –, e ha altro a cui pensare. Ora che è venuta in possesso di informazioni che potrebbero aggiungere un fondamentale tassello al quadro della sua

tortuosa infanzia, vuole vederci chiaro. Con l’aiuto di Mikael, la celebre hacker comincia a indagare su una serie di nominativi di un misterioso elenco

che risveglia in lei velati ricordi. In particolare, quello di una donna con una voglia rosso fiammante sul collo. Nella sua inestinguibile sete di giustizia,

Lisbeth rischia di riaccendere le forze oscure del suo passato che ora, in nome di un folle e illusorio bene più grande, quasi sembrano aver stretto un’alleanza

per darle di nuovo la caccia. Come un drago, quello stesso drago che ha voluto tatuarsi sul corpo, per annientare i suoi avversari Lisbeth è pronta a sputare

fiamme e a distruggere il male con il fuoco che brucia dentro tutti quelli che vengono calpestati.

 

Commento:

“L’uomo che inseguiva la sua ombra” è il quinto volume della saga Millennium, il secondo firmato da David Lagercrantz, che vede protagonista la geniale aker punk Lisbeth Salander ed il giornalista d’inchiesta Mickail Blomkwist. L’arrivo di questo libro, in realtà, non è proprio una novità, giacché il finale del quarto volume lasciava prevedere un seguito. Una novità è invece l’evoluzione che Lagercrantz dà alla storia: ci si sarebbe aspettati che si proseguisse con la pista della sorella di Lisbeth, ma evidentemente quest’aspetto è solo ritardato. In questo libro la presenza di Camilla e della sua rete è solo accennata, è dietro le quinte, lo scontro diretto tra le due sorelle ancora non avviene. Tuttavia Lisbeth deve fare i conti con una perdita importante e dolorosa e con nuovi nemici presenti e passati: due donne, in particolare, le danno qualche rogna e, inconsapevoli l’una dell’altra, mirano ad annientarla.

Ora, la buona notizia è che anche questo volume lascia presagire un seguito; la cosa negativa è che questo quinto libro è un po’ più sottotono rispetto ai precedenti, almeno a mio parere: l’ho trovato più farraginoso nell’avvio della storia e per molte pagine non capivo dove volesse andare a parare l’autore; inoltre la tensione, sebbene alta in alcuni punti, non arriva mai ai livelli raggiunti negli altri libri. Non resta che sperare in un rallentamento temporaneo che non si ripresenti nel libro (o nei libri) di prossima pubblicazione. Ad ogni modo si tratta di un ottimo thriller che ci fa conoscere ancora meglio la nostra Lisbeth e che indaga a fondo nel suo passato, ma anche nei problemi della Svezia e dell’Europa dei nostri giorni. Consigliato? Certo che sì!

 

 

Opera recensita: “L’uomo che inseguiva la sua ombra” (Millennium 05) di David Lagercrantz

Editore: Marsilio, 2017

Genere: thriller

Ambientazione: Svezia

Pagine: 495

Prezzo: 21,00 €

Consigliato: sì.

 

martedì 26 settembre 2017

RECENSIONE: SIMONA VINCI - DEI BAMBINI NON SI SA NIENTE


Sinossi:

Questo romanzo di una esordiente racconta la storia, tutta vista dall'interno, di un eden infantile, dove anche il sesso è innocenza, che si corrompe progressivamente

attraverso l'irruzione della perversione degli adulti con foto sempre più spinte. E' il bambino più grande del gruppo, il tirannico Mirko, a introdurle

nei giochi che si tengono in un capannone di periferia.

 

Commento:

E’ estate. Un gruppo di ragazzi, dai 10 ai 15 anni, si incontra in un capannone abbandonato per giocare e passare alcune ore insieme. Sono uno diverso dall’altro: c’è Mirco che è il capogruppo, il più grande (15 anni), quasi adulto, con il polso e le idee per condurre il gioco; c’è Luca, l’eterno secondo che segue le orme del capo; c’è Martina, curiosa, intrepida, una mezza donna anche se ancora una bambina; c’è Greta, bella, un po’ succube degli altri, la “bambina”; c’è Matteo, il più piccolo (dieci anni), che guarda gli altri con l’occhio inesperto e imbarazzato di chi non conosce ancora il mondo e non capisce bene ciò che sta accadendo troppo velocemente intorno a lui. I giochi sono dapprima elementari, i classici dei bambini… ma ben presto Mirco introduce i ragazzi ad un mondo a loro fino ad allora sconosciuto: quello della scoperta del proprio corpo e dei corpi altrui. Si comincia guardando certe riviste, poi arrivano i baci, le toccatine sempre più audaci, i rapporti veri e propri, le esperienze sadomaso. Tutto va troppo veloce, ci si vorrebbe fermare, si vorrebbe lavar via lo sporco, ma l’abitudine, il desiderio, la voglia di giocare ancora è più forte di tutto, anche del dolore. E quando nel gioco, indirettamente, entrano anche gli adulti il limite viene superato in un attimo… e non si può più tornare indietro.

In questo libro breve e sconvolgente Simona Vinci racconta con precisione una storia innocente che diventa torbida, la normalità delle prime esperienze sessuali di ragazzi e ragazze che viene turbata da una volontà dominante, da una forza esterna, da un burattinaio che si crede adulto, ma che infondo non lo è. E il bello (o il brutto) è che questa storia sembra assurda, ma è tutt’altro che inverosimile: purtroppo vicende come questa esistono anche al di qua della finzione letteraria, ci sono anche nella realtà. E forse è per questo che consiglio questa lettura, perché bisogna aprire gli occhi su ciò che accade o può accadere ai bambini, anche a due passi da noi, in un capannone abbandonato come ce ne sono tanti. E poi Simona Vinci ha una prosa scorrevole, a tratti cruda, a tratti estremamente sensuale. Un esperimento narrativo assai riuscito, in tutta la sua crudezza e drammaticità.

 

Opera recensita: “Dei bambini non si sa niente” di Simona Vinci

Editore: Einaudi, 1997

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: non ben definita

Pagine: 176

Prezzo: 8,00 €

Consigliato: sì.

 

lunedì 25 settembre 2017

RECENSIONE: DONATELLA DI PIETRANTONIO - L'ARMINUTA


Sinossi:

Ci sono romanzi che toccano corde cosí profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con L'Arminuta fin dalla prima pagina,

quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell'altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi

stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all'altro

perde tutto - una casa confortevole, le amiche piú care, l'affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l'Arminuta»

(la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova e diversissima vita. La casa è piccola, buia, ci sono fratelli dappertutto e poco cibo

sul tavolo.

 

Commento:

Questa è la storia dell’”Arminuta”, una ragazzina tredicenne che amava la danza, la sua spiaggia, la sua casa, il profumo della sua mamma… o di quella che credeva essere la sua mamma. Un bel giorno, però, l’arminuta è costretta ad abbandonare tutto ciò che ama perché quelli che credeva i suoi genitori la restituiscono alla sua vera famiglia. Così la ragazza passa dalla bella vita in città alla vita scomoda del paese, dove manca tutto, il lavoro, il cibo, l’igiene… e dove ci sono troppe bocche e poco spazio per tutti. E’ così che, da un giorno all’altro, la vita di questa ragazza cambia radicalmente ed inspiegabilmente ed ora lei si ritrova spaesata, con troppi fratelli, troppi padri e troppe madri e troppo poche spiegazioni. Ma piano piano qualcosa cambia, l’affetto si apre un varco nel cuore ferito e, ad un anno di distanza l’abbandono si è trasformato in qualcosa di diverso.

“L’arminuta” è una storia potente raccontata con schiettezza spiazzante: una vita scambiata come fosse un giocattolo, affetti recisi e ricuciti alla buona, affetti sinceri che non hanno il tempo di sedimentare… ed al centro di tutto una ragazzina intelligente, fragile ed al contempo molto coraggiosa. Lo stile è estremamente diretto ed all’inizio della lettura si fa un po’ fatica ad ambientarsi nella storia. Ma ben presto ci si abitua e la nebbia iniziale si dirada… vale la pena di continuare la lettura. Libro consigliato, lettura breve ma intensa.

 

Opera recensita: “L’arminuta” di Donatella Di Pietrantonio

Editore: Einaudi, 2017

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Abruzzo

Pagine: 162

Prezzo: 17,50 €

Consigliato: sì.

 

sabato 23 settembre 2017

RECENSIONE: NATHANIEL HAWTHORNE - LA LETTERA SCARLATTA


Sinossi:

La vicenda si svolge nella Boston puritana del sec. XVII. Hester Prinne ha preceduto nel Massachusetts il marito, un anziano scienziato, e ha avuto una

figlia, Pearl, da una relazione illegittima. Viene messa alla gogna e condannata a portare sul petto la lettera A (adultera), ritagliata "in un bel panno

scarlatto". Rifiuta di dire il nome del suo amante, ma il marito, sotto falso nome, si mette alla ricerca dell'uomo. Riesce a scoprirlo: è il giovane reverendo

Dimmesdale, che soffre moltissimo, ma, per orgoglio, non vuole confessare. Pressato dal marito di Hester alla fine confessa pubblicamente la sua colpa,

ma stroncato dall'emozione, muore.

 

Commento:

Poco tempo fa mi è capitato di vedere la trasposizione cinematografica tratta da questo romanzo e ricordo di esserne rimasta piacevolmente olpita. Così mi è venuta la curiosità di leggere il libro… a lettura terminata, però, devo dire che sono perplessa. La storia narrata è affascinante, ma lo stile di scrittura, a mio parere, è un po’ indigesto.

La protagonista è senza dubbio Ester Prinne, la donna altera e bellissima tacciata di ignominia e costretta a portare appuntata al seno la lettera scarlatta che indica l’adulterio. Ester ha avuto una figlia, Perla, da una relazione con il giovane e dotto reverendo del paese, ma è decisa a non rivelare il nome dell’uomo, a costo di portare su di sé l’onta del disprezzo e della condanna di tutti. E’ una donna coraggiosa che non si piega né a lusinghe né a minacce, neppure quando il marito, sotto mentite spoglie, scopre tutto e nutre vendetta.

L’autore, per raccontare questa storia, utilizza la formula dell’antico manoscritto ritrovato e delle voci tramandate per generazioni. Tuttavia la narrazione risulta lenta ed oltremodo farraginosa; le frasi non sono mai direttee i concetti affogano in barocchismi e giri di parole. Tutto ciò contribuisce a che un registro linguistico alto sconfini nell’esagerato e nell’ampolloso. Da qui le mie perplessità nel consigliare questa lettura, certamente interessante per la trama, i personaggi ed i profili di riflessione che presenta sulla condizione della donna e della famiglia, ma al contempo dall’approccio non facile.

 

Opera recensita: “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne

Editore: Frassinelli, prima ed. 1890

Genere: romanzo storico

Ambientazione: America 1600

Pagine: 338

Prezzo: 6,71 €

Consigliato: sì/no.

 

giovedì 21 settembre 2017

RECENSIONE: MARGARET MAZZANTINI - VENUTO AL MONDO


Sinossi:

Premio Campiello 2009. Una mattina Gemma sale su un aereo, trascinandosi dietro un figlio di oggi, Pietro, un ragazzo di sedici anni. Destinazione Sarajevo,

città-confine tra Occidente e Oriente, ferita da un passato ancora vicino. Ad attenderla all'aeroporto, Gojko, poeta bosniaco, amico, fratello, amore mancato,

che ai tempi festosi delle Olimpiadi invernali del 1984 traghettò Gemma verso l'amore della sua vita, Diego, il fotografo di pozzanghere. Il romanzo racconta

la storia di questo amore, una storia di ragazzi farneticanti che si rincontrano oggi invecchiati in un dopoguerra recente. Una storia d'amore appassionata,

imperfetta come gli amori veri. Ma anche la storia di una maternità cercata, negata, risarcita. Il cammino misterioso di una nascita che fa piazza pulita

della scienza, della biologia, e si addentra nella placenta preistorica di una guerra che mentre uccide procrea. L'avventura di Gemma e Diego è anche la

storia di tutti noi, perché questo è un romanzo contemporaneo. Di pace e di guerra. La pace è l'aridità fumosa di un Occidente flaccido di egoismi, perso

nella salamoia del benessere. La guerra è quella di una donna che ingaggia contro la natura una battaglia estrema e oltraggiosa. L'assedio di Sarajevo

diventa l'assedio di ogni personaggio di questa vicenda di non eroi scaraventati dalla storia in un destino che sembra in attesa di loro come un tiratore

scelto. Un romanzo-mondo, di forte impegno etico, spiazzante come un thriller, emblematico come una parabola.

 

Commento:

Ormai è risaputo: in ogni suo libro Margaret Mazzantini picchia duro e sconvolge. L’ha fatto con “Non ti muovere” con la storia di un padre infedele che si riscopre nelle ore di attesa dopo l’incidente della figlia; l’ha fatto in “splendore” raccontando una complessa storia di omosessualità; l’ha fatto in “Mare al mattino” raccontando l’immigrazione ed il viaggio della speranza tra la Libia e l’Italia. E lo fa anche qui, in “Venuto al mondo”, parlando di maternità, dell’incontro di anime derelitte, della guerra esteriore ed interiore. E proprio da un “viaggio della speranza” comincia anche questa storia, la storia di Gemma, giovane laureanda romana che va a fare ricerche per la tesi a Sarajevo nel periodo delle olimpiadi invernali dell’84; lì incontra Gojko, il poeta ubriaco che le farà da guida e che rimarrà suo amico per la vita, e Diego, il fotografo di pozzanghere, il ragazzo di Genova con cui condividerà la guerra, l’amore, la maternità mancata eppure cercata ossessivamente. Quando le granate squarciavano l’intimità delle case di Sarajevo, nel 1992, Gemma era lì… e c’era anche Diego, e Gojko, e Sebina e Mima, ed Aska… c’erano tutti, ma non c’era ancora Pietro, il bambino di Sarajevo con cui Gemma torna in città quasi vent’anni dopo. E’ a lui che Gemma vorrebbe spiegare cosa significa quella città, quella guerra finita ma ancora dietro l’angolo, quella rosa rossa in una pozza nera ritratta in una foto di Diego. Ma non può dirgli niente, perché i ricordi fanno male e forse perché in fondo la verità non la conosce nemmeno lei.

“Venuto al mondo” è un pugno nello stomaco, è una storia che strazia, appassiona e sconvolge. E’ l’intreccio di vite che si sfiorano, si scelgono, si perdono nella crudezza della guerra e si ritrovano nel tempo immobile e nebuloso della pace. Tutto questo marasma di emozioni è portato sulla carta dalla penna esperta di Margaret Mazzantini che sa giocare con le parole, ma non strafà, rendendo tutto tangibile, visibile, anche a noi che questa vicenda la leggiamo soltanto. Una lettura consigliata, sicuramente, nonostante o forse proprio per la sua crudezza, perché certe storie ci entrano dentro solo se si impongono, se si fanno leggere per forza, anche se non sono facili da digerire.

 

Opera recensita: “Venuto al mondo” di Margaret Mazzantini

Editore: Mondadori, 2008

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: Roma-Sarajevo

Pagine: 531

Prezzo: 20,00 €

Consigliato: sì.

 

domenica 17 settembre 2017

RECENSIONE: HANNAH ARENDT - LA BANALITà DEL MALE


Sinossi:

Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Aires la sera dell'11 maggio 1960, trasportato in

Israele nove giorni dopo e tradotto dinanzi al Tribunale distrettuale di Gerusalemme l'11 aprile 1961, doveva rispondere di 15 imputazioni. Aveva commesso,

in concorso con altri, crimini contro il popolo ebraico e numerosi crimini di guerra sotto il regime nazista. L'autrice assiste al dibattimento in aula

e negli articoli scritti per il "New Yorker", sviscera i problemi morali, politici e giuridici che stanno dietro il caso Eichmann. Il Male che Eichmann

incarna appare nella Arendt "banale", e perciò tanto più terribile, perché i suoi servitori sono grigi burocrati.

 

Commento:

In questo saggio, scritto nel 1963, Hannah Arendt analizza il processo, tenutosi a Gerusalemme nel 1961, ad Eichmann. Chi fu Eichmann? Non il peggiore, ma uno dei tanti funzionari nazisti che parteciparono alla “Soluzione finale” ed allo sterminio degli ebrei. Uno dei tanti, appunto, non il peggiore: un particolare importante perché lo scopo del libro non è, in realtà, raccontare la storia di Eichmann perché diversa dalle altre, ma dimostrare che il male non è qualcosa di grande, impressionante, mostruosamente alieno, ma che esso è nella vita quotidiana, nella politica, nel mondo del lavoro, nella giustizia, nelle piccole cose. Il male è mediocre e banale, perciò è così terribile, specie quando è istituzionalizzato e si insinua nelle decisioni sulla vita altrui.

All’irrimediabile farsa nella quale si trasforma il processo, Eichmann appare come uno stupido, un uomo che non sa bene cosa gli accade intorno, uno che non ricorda, non è in grado di decidere né ha mai deciso nulla consapevolmente perché non è capace di pensare con la propria testa. E’ questa l’immagine che passa di un criminale nazista corresponsabile della morte di milioni di persone, immagine se possibile migliorata dal fatto che egli tentò, a suo dire, di trovare una soluzione che favorisse gli ebrei facendoli uscire dal Paese lasciando loro un po’ di terra sotto i piedi. Questo è giusto un accenno per farvi capire che persona fosse Eichmann. Più in generale, il racconto della vicenda Eichmann si rivela ben presto un pretesto che l’autrice usa per parlare diffusamente dell’avvento del nazionalsocialismo, delle leggi raziali, dell’olocausto, delle soluzioni, dei mille fraintendimenti e falsi equivoci che portarono allo sterminio. Tutto questo viene descritto con puntuale minuzia, ma le denunce della Arendt non sono dirette, bisogna leggere fra le righe per capire bene qual è la sua posizione. Di certo l’autrice non risparmia nessuno, neanche gli ebrei e il neonato Stato israeliano.

Personalmente ho trovato disturbante la perenne ambiguità delle pagine, che si dissipa finalmente nell’ultimo capitolo conclusivo. Ho fatto molta fatica a concludere la lettura, ma credo che oltre ad essere complesso questo libro sia utile: è complesso per i tanti sottointesi e per la precisione del racconto con nomi, episodi e fatti; è utile perché incita ad approfondire l’argomento per comprendere meglio ciò che viene narrato… e, vista l’importanza del tema, approfondire non può essere altro che un bene.

 

Opera recensita: “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme” di Hannah Arendt

Editore: Feltrinelli, prima ed. 1963

Genere: saggistica

Ambientazione: Gerusalemme-Germania

Pagine: 320

Prezzo: 11,00 €

Consigliato: sì.

 

lunedì 11 settembre 2017

RECENSIONE: JEFFERY DEAVER - PROFONDO BLU


Sinossi:

Una donna è assassinata da Pathe, un hacker diabolico che l'ha adescata infiltrandosi nei file del suo computer. L'uomo ha infatti un programma che gli

consente di entrare nella vita delle persone che conosce in rete, per poi attirarle nella sua trappola mortale. Vuole fare il numero più alto possibile

di vittime, a partire dal capo dell'unità di polizia di Los Angeles che indaga sui crimini informatici. Per fermare questa follia omicida, il detective

Frank Bishop decide di ricorrere a un altro hacker, detenuto per reati analoghi a quelli di Pathe. Inizia così una partita mortale fra l'hacker "buono"

e il sadico killer...

 

Commento:

Semplicemente fantastico. Un thriller al cardiopalma che tiene incollati dalla prima all’ultima riga, questo è “profondo blu”. E’ la storia di Phate, un “Kraker”, un aker così malvagio da arrivare ad uccidere per il mero gusto della sfida: è così fuori dal mondo reale da non provare più nessuna forma di empatia, da preferire le macchine alle persone. Come in un gioco di ruolo, Phate cerca di superarsi ad ogni livello e ad ogni omicidio alza il tiro. A combatterlo c’è una squadra variegata: ci sono i tecnici dell’Unità crimini informatici, sempre a corto di personale e con conoscenze troppo limitate per un avversario del genere; c’è il detective Frank Bishop che non sa nulla di computer, ma è sempre stato in prima linea nei “normali” casi di omicidio; e c’è Wyatt Gillette, un aker di pari livello rispetto a Phate, ma molto diverso da lui, uno a cui le persone interessano ancora molto. E’ proprio Wyatt il personaggio chiave e più interessante del thriller: più volte rischierà di cedere alle insidie della curiosità, della voglia di sapere come funziona il programma che permette a Phate di introdursi nelle vite altrui, ma riuscirà sempre a resistere ed a fare la scelta giusta… anche quando questa scelta riguarda direttamente la sua famiglia.

Questo thriller è una scarica di adrenalina allo stato puro: la tensione è sempre altissima, il ritmo è incalzante, si lotta contro il tempo in un gioco di abilità sul filo del rasoio. Basta un tasto sbagliato e si rischia di provocare danni gravissimi all’America intera. E nonostante tutta questa corsa contro il tempo, Deaver riesce a farci riflettere sull’importanza che i computer hanno assunto nella nostra vita e nel nostro secolo: basta un niente per uccidere un uomo.

Come al solito Deaver dimostra di essere un maestro del thriller e ci regala trame articolate, ma fluide, con una padronanza degli argomenti più disparati ed un dominio della tensione narrativa magistrale. Libro consigliato agli amanti della tecnologia, ma anche ai neofiti: secondo me, anche se non sapete neppure accendere un computer, dopo aver letto questo libro vi verrà una voglia matta di provare! Letto in un giorno intero, “profondo blu” si colloca nella mia top 3 dei libri preferiti di Deaver! Davvero bello!

 

 

 

Opera recensita: “Profondo blu” di Jeffery Deaver

Editore: Bur, prima ed. 2001

Genere: thriller cyber thriller

Ambientazione: Silicon Valley-Stati Uniti

Pagine: 442

Prezzo: 10,90 €

Consigliato: sì.

 

sabato 9 settembre 2017

RECENSIONE: STEPHEN KING - CARRIE


Sinossi:

Carrie è un'adolescente presa di mira dai compagni, ma ha un dono. Può muovere gli oggetti con il potere della mente. Le porte si chiudono. Le candele

si spengono. Un potere che è anche una condanna. E quando, inaspettato, arriva un atto di gentilezza da una delle sue compagne di classe, un'occasione

di normalità in una vita molto diversa da quella dei suoi coetanei, Carrie spera finalmente in un cambiamento. Ma ecco che il sogno si trasforma in un

incubo, quello che sembrava un dono diventa un'arma di sangue e distruzione che nessuno potrà mai dimenticare. Dal romanzo è tratto il film "Lo sguardo

di Satana".

 

Commento:

“Carrie” è il primo romanzo di Stephen King e si direbbe che con questo libro il Re abbia voluto fare le prove per i romanzi successivi: è abbastanza breve considerati i canoni di King, ma ha tutte le carte in regola per essere un buon libro.

Come al solito King prende una cittadina normale del Maine e pone al suo interno una scheggia impazzita, una ragazzina di sedici anni oggetto degli scherzi, sberleffi, umiliazioni di ogni genere da parte dei suoi compagni e, soprattutto, delle sue compagne sin dalle elementari. Un giorno la situazione precipita, lo scherzo sfocia in una crisi e qualcosa in Carrie si rompe: il suo antico potere latente, la telecinesi, torna a manifestarsi e cresce col passare dei giorni: più cresce la rabbia più cresce il potere. Una delle principali cause della drammatica situazione sociale di Carrie è proprio sua madre, Margareth, la cui profonda religiosità sfocia in uno sfrenato fanatismo che la induce a trattare la figlia come il frutto del peccato, la “progenie del demonio”. E quando, a seguito di un ultimo terribile scherzo, la rabbia di Carrie esploderà, si rivolgerà anche, inesorabilmente, contro di lei. Carrie è la vittima che diventa carnefice, è la personificazione del desiderio distruttivo di chiunque abbia subito un’umiliazione tale da ferire nel profondo. Chi, infatti, sottoposto ad una pressione insostenibile, vedendosi deriso, incompreso e maltrattato, non ha immaginato azioni distruttive? In questo libro King mette per iscritto, con una trama semplice e delle scene affascinanti e spaventose, proprio questi pensieri reconditi che si annidano in ognuno di noi… è questa, ormai lo sappiamo, l’arma segreta del suo successo e della sua bravura.

Libro, inutile dirlo, altamente consigliato.

 

Opera recensita: “Carrie” di Stephen King

Editore: Bompiani, prima ed. 1974

Genere: horror, paranormale

Ambientazione: Maine, Stati Uniti

Pagine: 211

Prezzo: 14,00 €

Consigliato: sì.

 

RECENSIONE: EVITA GRECO - IL RUMORE DELLE COSE CHE INIZIANO


Sinossi:

Cosa faresti se la tua bambina avesse paura di andare a scuola? Cosa le diresti per convincerla a farsi coraggio? Per la sua nipotina Ada, Teresa inventa

un gioco: ogni volta che una cosa bella sembra finire, bisogna aguzzare le orecchie e prestare attenzione ai rumori. Solo così si possono riconoscere quelli

delle cose che iniziano. Alcuni sono semplici e hanno dentro una magia speciale: un’orchestra che accorda gli strumenti, il vento in primavera, il tintinnio

delle tazze riempite di caffè… Ma nella vita non sempre sappiamo riconoscere le cose belle. Quando perdiamo fiducia in noi stessi, quando qualcuno ci tradisce,

o ci dice addio, sembra che nulla possa davvero iniziare. Ada ci pensa spesso, ora che nonna Teresa è ammalata. Nei corridoi dell’ospedale la paura di

restare sola è così forte da toglierle il respiro, ma bastano due persone per ricordarle che si può ancora sorridere: Giulia, un’infermiera tutta d’un

pezzo, e Matteo, che le regala margherite e la sorprende con una passione imprevista. Perché è proprio quando il mondo sembra voltarti le spalle che devi

ascoltarne i rumori, e farti trovare pronta. Guardati intorno, allunga la strada, sbaglia a cuor leggero e ridi più spesso che puoi. Ogni volta che qualcosa

finisce, da qualche parte ce n’è un’altra che inizia.

 

Commento:

Letto in un pomeriggio, “Il rumore delle cose che iniziano” è una storia di affetti semplici e di scelte coraggiose.

E’ la storia di Teresa, Ada, Giulia e Matteo. Teresa è in ospedale per una malattia incurabile, ad assisterla ci sono la nipote Ada e l’infermiera Giulia. Ada e Giulia non potrebbero essere più diverse, ma in ospedale sono diventate amiche. Giulia è una che “si prende cura delle persone”, non spreca i gesti, spiega sempre tutto e sta per sposarsi; Ada è sempre stata considerata diversa, sorda o stupida per via della sua dislessia, è fragile ed al mondo ha solo sua nonna, ma in ospedale ha incontrato Matteo che ben presto diventa il suo ultimo, unico approdo. Queste vite tanto diverse si intrecciano, si toccano, si scontrano e qualche volta lo scontro fa male. Ma poi ci si impegna, si ama e ci si rialza… in qualche modo, ci si rialza sempre.

Una prosa delicata ed intensa, una trama tutto sommato prevedibile, ma comunque toccante, un finale quasi insperato.

“Il rumore delle cose che iniziano” è la lettura perfetta per i pomeriggi autunnali, accompagnata da una tazza di thé mentre fuori cade qualche scroscio di pioggia e le foglie fluttuano nel vento. Non il capolavoro della vita, ma una lettura piacevole con cui accompagnarsi.

 

Opera recensita: “Il rumore delle cose che iniziano” di Evita Greco

Editore: Rizzoli, 2016

Genere: narrativa italiana

Ambientazione: non definita

Pagine: 328

Prezzo: 18,00 €

Consigliato: sì.

 

venerdì 8 settembre 2017

RECENSIONE: VICTOR HUGO - I MISERABILI


Sinossi:

In questo grande romanzo, tra i più importanti della letteratura francese, Victor Hugo riversa gran parte della sua esperienza umana e sociale, per costruire

una storia di fatica, esilio, amore e povertà. Un'epopea della miseria e un imponente affresco d'epoca che, nella Parigi dell'800, vede protagonisti alcuni

indimenticabili personaggi, come Jean Valjean, la solare Cosette, Fantine, il cupo ispettore Javert: anti-eroi ricchi di luci e ombre, capaci di gesti

scellerati ma anche di azioni generose e commoventi. Una storia dal ritmo incalzante, magistrale e irripetibile per l'autenticità delle emozioni e per

la complessità della trama narrativa.

 

Commento:

Vi sono romanzi che, sin dal primo, parziale approccio, ci colpiscono e la voglia di leggerli si annida in noi per anni. A me “I miserabili” di Victor Hugo ha fatto proprio quest’effetto sin da quando, a scuola e poi al liceo, ho avuto modo di leggerne alcuni stralci. I nomi di Jean Valjean, Cosette, Javert, i Tenardier sono rimasti impressi nella mia mente fino a quando, una settimana fa, ho deciso di leggere finalmente questo libro per intero. A lettura ultimata posso ben dire che rimarranno nella mia mente per molti anni ancora.

Comincio col dire che “I miserabili” non è un libro facile né da leggere né da recensire: è un’opera monumentale, sia per la sua complessità che per l’importanza dei concetti espressi. E’ ambientata nella Francia della prima metà dell’Ottocento, immersa fra i postumi della rivoluzione del 1789 e le imprese di Napoleone, osannato e condannato al contempo. La situazione storica e culturale del Paese è tutt’altro che tranquilla, vi sono spaccature interne che faticano ad appianarsi e che esploderanno in una nuova rivoluzione nel 1832. E’ in questo contesto che Hugo inserisce (direi con risultati favolosi vista la complessità dell’operazione) i personaggi di questa storia, i miserabili, una congerie di uomini, donne e bambini che ogni giorno fanno i conti con la vita vera, con la fame, la miseria, la giustizia cieca e la guerra. Hugo ci presenta un’umanità variegata nella sua miseria, diremmo che ci sono tanti tipi di miserabili: c’è Jean Valjean, l’antico forzato perseguitato dalla giustizia, il galeotto che si redime e per quanto bene faccia agli altri deve combattere con la sua ombra; c’è Cosette, la bambina orfana e maltrattata che diviene figlia di Valjean e vive nel benessere e nella gioia; c’è Javert, l’ispettore di polizia irreprensibile nel suo dovere che non riesce a sopportare l’idea che qualcuno possa mettersi al di sopra della legge; ci sono i Tenardier, una famiglia di delinquenti travestiti da albergatori che una volta falliti vivono di espedienti e di inganni ai danni del prossimo; c’è il monello Gavroche, un bambino abbandonato dai genitori e cresciuto troppo in fretta nella strada, che rivela però un’anima luminosa.

Il libro in sé può essere analizzato e letto in due modi: può essere visto come due libri separati, un romanzo ed un saggio storico filosofico, oppure in modo organico, come un unico romanzo all’interno del quale convivono una parte storica ed una storia meravigliosa. A mio modo di vedere, la difficoltà di quest’opera sta proprio nelle ampie digressioni storiche, filosofiche, sociali che l’autore inserisce tra una fase e l’altra della storia e che, a dire il vero, sono preziose perché descrivono un contesto complesso fatto di tanti equilibri precari.

Ad ogni modo, siamo innegabilmente di fronte ad un capolavoro della letteratura francese e mondiale, attuale nonostante parli di cose avvenute duecento anni fa, perché descrive la natura dell’uomo, le sue bassezze e le sue azioni eroiche. Impossibile, perciò, non consigliarne la lettura. E poi come si fa a non appassionarsi alle vicende di questi personaggi? Io, sarà scontato, adoro Valjean! Che lo si chiami Jean Valjean, Papà Madeleine o Ultimo Fauchelevent, è lui la vera anima di questo romanzo! Penso che questo libro, in fin dei conti, resterà nei miei ricordi per molto tempo!

 

Opera recensita: “I miserabili” di Victor Hugo

Editore: Newton Compton, prima ed. 1862

Genere: romanzo storico

 Ambientazione: Francia, 1815-1833

Pagine: 942 (ed. 2008)

Prezzo: 9,90 €

Consigliato: sì.